16 settembre 2024
“Chiusi dentro. Dall’alto”. I campi di confinamento per migranti nell’Europa del XXI secolo visti da satellite
Che aspetto hanno i campi di confinamento costruiti o finanziati dai Paesi dell’Unione europea in questi anni per segregare i richiedenti asilo e/o i migranti in transito e come hanno stravolto i territori nei quali sono stati realizzati? Grazie al libro “Chiusi dentro” curato da RiVolti ai Balcani ed edito da Altreconomia nel 2024 è nato il progetto digitale “Chiusi dentro. Dall’alto”, che con le immagini satellitari esclusive eseguite da PlaceMarks mostra il volto delle politiche europee: per bloccare, respingere, confinare, condannare alla marginalizzazione.
Dalla Turchia alla Grecia, dalla Serbia all’Italia, dall’Albania alla Bosnia ed Erzegovina, passando per Lituania, Macedonia del Nord, Ungheria e ancora. Quindici Paesi, oltre 100 tra immagini e mappe per conoscere e far conoscere i campi dell’Europa di oggi.
È un progetto da RiVolti ai Balcani, realizzato da Altreconomia in collaborazione con PlaceMarks.
Lettera aperta al nuovo parlamento europeo: “Costruiamo l’Europa dei diritti”
Siamo una rete di associazioni impegnate nell’accoglienza, nella promozione dei diritti sanciti da leggi e convenzioni internazionali, nel salvataggio in terra e in mare, nel sostegno a chi giunge nell’Unione Europea alla ricerca di un luogo dove vige lo Stato di diritto e dove poter costruire in sicurezza la propria vita. Oggi, però, l’Unione Europea appare sempre più un continente vessatorio, in cui le persecuzioni nei confronti delle persone che fuggono da persecuzioni, guerre, violenze generalizzate, disastri climatici che provocano carestie, desertificazione, povertà estrema, sono sempre più all’ordine del giorno.
La prova è nel Patto Migrazione e Asilo, una riforma approvata nella scorsa legislatura, seppur con una maggioranza risicata, che mette seriamente a rischio l’esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini e delle cittadine migranti. Nei mesi scorsi, attraverso un lungo percorso di consultazione e denuncia dal basso svolto con la roadmap per il Diritto D’asilo e la Libertà di Movimento, abbiamo provato ad evitarne l’approvazione e le sue inevitabili conseguenze, ma non ci siamo riusciti.
Un piano criminale Esiste un piano di attuazione temporale elaborato dalla Commissione Europea per mettere in atto questa riforma, il cui passo successivo consiste nell’elaborazione, da parte degli Stati membri, dei rispettivi piani nazionali di attuazione entro il 12 dicembre 2024. Le linee guida di questa riforma prevedono che tutti i migranti irregolari saranno registrati e sottoposti a uno screening della loro identità, circa il rischio per la sicurezza, e per gli aspetti riguardanti la vulnerabilità e la salute.
Questa procedura sarà prevista anche per tutte le persone che presenteranno la domanda di protezione internazionale ad un valico di frontiera. In una successiva fase, poi, si applicherà una procedura di frontiera obbligatoria per tutti e tutte coloro si ritiene infondata la domanda di protezione internazionale, oppure che presentino un rischio per la sicurezza o che abbiano mentito alle autorità.
Queste norme, così dette di screening e procedure accelerate di frontiera, sono, in realtà, l’anticamera del nuovo regolamento sui rimpatri, il quale prevede che ad ogni richiedente asilo a cui verrà negato l’asilo, ne sarà accelerato anche il rimpatrio o la riammissione verso paesi terzi con cui la maggior parte degli stati membri detengono accordi e che nella maggior parte dei casi non rispettano i diritti fondamentali nemmeno dei propri cittadini. Questo piano sarà garantito da Frontex, organo di polizia dell’Unione che diverse inchieste giornalistiche hanno già inchiodato per i suoi metodi violenti e autoritari. Non soltanto. All’agenzia Frontex sarà affidato un ruolo chiave nell’implementazione di questo regolamento supportando gli Stati membri in tutte le fasi del processo di rimpatrio.
Rilanciare la mobilitazione Per questo, oggi che l’Unione Europea si trova ad affrontare uno dei momenti più difficili della sua storia, con il suo parlamento più a destra della sua storia, abbiamo deciso di rilanciare le azioni della mobilitazione della società civile.
Il 4 luglio, al termine di una assemblea on line che ha visto la partecipazione di quasi 200 persone da ogni parte d’Italia, abbiamo redatto una lettera aperta in dieci punti rivolta al nuovo parlamento europeo e alle forze politiche e che invitiamo a sottoscrivere.
Cosa chiediamo? Un cambio di passo profondo nelle politiche sbagliate sia in termini di contenuti, sia di direzione, che continuano a produrre, anzi, ad aumentare, migliaia di morti nel mar Mediterraneo, nell’Oceano Atlantico, lungo la rotta balcanica. Fermiamo l’Europa dei muri e delle stragi, costruiamo l’Europa dei diritti, ascoltiamo la società civile. Rilanciamo la mobilitazione perché ciò avvenga.
Si concluderà il prossimo 4 maggio con un’assemblea nazionale a Bologna la “Roadmap per il diritto d’asilo e la libertà di movimento” che si svolgerà nella sala Casa di quartiere “Katia Bertasi”, patrocinato dal comune felsineo (e con il contributo di Otto per Mille Valdese, Fondazione Migrantes e Open Society Foundation).
“Vogliamo riportare all’interno dell’Europa i suoi valori fondanti: democrazia, libertà, uguaglianza”, affermano le nove realtà associative che hanno girato negli ultimi sei mesi l’Italia, esaminando dal basso, partendo dai vari contesti metropolitani e cittadini, le nuove norme in discussione al Parlamento europeo catalogate sotto l’ombrello unico del Patto migrazioni e asilo.
I cinque regolamenti, che prevedono, tra le altre cose, una detenzione generalizzata per chiedere asilo alle frontiere dell’Ue, e i respingimenti di massa verso Paesi considerati sicuri, intanto, sono stati approvati il 10 aprile, ma la mobilitazione delle organizzazioni sui diversi territori non si è fermata. “Siamo al termine di una call to action che è durata diversi mesi contro un patto scellerato che contestiamo, a cui non solo bisogna rispondere con i diritti, ma a cui è diventato urgente disobbedire”, afferma Giovanna Cavallo, coordinatrice del Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, a nome della rete che ha promosso la roadmap. “Non ci basta più denunciare le conseguenze nefaste delle politiche europee e italiane, vogliamo agire per modificare queste norme, a partire dal nuovo Parlamento europeo che sarà eletto a giugno e che dovrà essere in grado di invertire la pericolosa direzione di marcia autoritaria intrapresa dall’Ue”.
Negli ultimi sei mesi, da Caserta a Cosenza e Lamezia Terme, da l’Aquila a Firenze, Reggio Emilia, Roma, Milano, Taranto, Varese, Urbino, solo per citare alcune delle città che sono state toccate dalla roadmap, attivisti e attiviste, associazioni, operatori, legali e giuristi, hanno contribuito in diversi incontri e gruppi di lavoro, a rendere una giusta informazione verso le comunità locali: sulle drammatiche conseguenze di questo nuovo patto europeo che considera le migrazioni come un processo ulteriormente da criminalizzare.
È stato un lungo percorso portato avanti dal basso verso l’alto, attraverso cui le organizzazioni hanno portato la propria voce e quella delle persone in movimento al mondo politico istituzionale, sia all’assemblea organizzata dal Partito democratico lo scorso gennaio, invitando gli eurodeputati di quel partito a non votare un Patto che è possibile sintetizzare con tre parole: “Respingere, trattenere, detenere”; ma anche a Bruxelles, dove una delegazione della rete ha incontrato alcuni europarlamentari, e consegnato una lettera pubblica prima del voto, invitandoli, dunque, a non votare. Ora, a Bologna, i risultati di questa interlocuzione con le forze parlamentari, le istanze e gli esiti emersi nelle varie tappe della roadmap, saranno discussi in una grande assemblea, il 4 maggio, un passo ulteriore per riportare all’interno dei confini dell’Europa i suoi valori fondanti: democrazia, libertà, uguaglianza. La scala è gettata.
Lettera aperta rivolta ai deputati e alle deputate del Parlamento Europeo.
Dopo l’incontro, i parlamentari del PD all’interno del gruppo “Socialisti e Democratici” in seno al parlamento europeo hanno assicurato l’impegno di tutto il partito democratico a non votare il testo, che, nella sua attuale formulazione, mina alle radici l’idea democratica su cui si basa l’Unione Europea.
Una delegazione della “Road Map per il Diritto d’Asilo e la Libertà di Movimento” composta dai rappresentanti di diverse associazioni che sui diversi territori si occupano di migrazioni: Sara Consolato di Refugees Welcome, Giovanna Cavallo e Teresa Menchetti del Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, Mimma D’Amico del Centro sociale Ex Canapificio di Caserta, infine, il giurista Gianfranco Schiavone e il Sindaco di Sant’Orso (Vicenza) Franco Balzi della rete Re.Cosol ha consegnato il 19 marzo a Bruxelles agli europarlamentari socialisti e democratici Brando Benifei e Pietro Bartolo una lettera aperta con 400 firme raccolte in meno di 48 ore, in cui si chiede di non votare il Patto Europeo su Immigrazione e Asilo che andrà in votazione l’11 aprile.
14 febbraio 2024
L’appello della società civile ai parlamentari italiani in Europa: ecco perché il Patto europeo migrazioni e asilo non deve essere approvato
Il percorso del Patto europeo migrazioni e asilo è alle battute finali per poter essere approvato definitivamente dal parlamento europeo entro il prossimo aprile, prima della conclusione della legislatura. Il testo, infatti, sarà esaminato il prossimo 14 febbraio all’interno della commissione Libe del parlamento, che si occupa, tra le altre cose, di diritti umani e lotta alla discriminazione all’interno dell’Ue. E per l’occasione una vasta coalizione di organizzazioni della società civile si sta mobilitando.
Il Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), Rivolti ai Balcani, Europasilo, Italy must act, Refugees Welcome Italia, Mediterranea Saving Humans, Recosol e Stop Border Violence, hanno già lanciato nelle scorse settimane una “Road Map per il diritto d’asilo e la libertà di movimento” che sta attraversando l’Italia, dal Nord al Sud, per informare e sensibilizzare le cittadinanze sui contenuti del testo che, se sarà approvato così come è stato definito nel dicembre scorso nell’intesa trovata tra Commissione e Parlamento «produrrà nuove tragedie dell’immigrazione e renderà l’Europa ancor di più una cupa fortezza assediata con uno sgretolamento dello stato di diritto e del livello di democrazia interna», così scrivono le organizzazioni promotrici in un appello rivolto ai parlamentari europei. Nel frattempo, in vista del voto, si stanno moltiplicando le tappe della Road Map. Dopo gli incontri di Pesaro e Roma, si terranno nelle prossime settimane assemblee, dibattiti pubblici e momenti di formazione a Brescia, Cosenza, L’Aquila, Lamezia Terme, Firenze, Milano, Modena, Perugia, Reggio Emilia, Taranto. Non soltanto.
Le reti della società civili sono già intervenute il 19 e il 20 gennaio scorso al convegno “Prima le persone” organizzato dal partito democratico e in quella sede hanno illustrato tutte le criticità del Patto. “Se certamente possiamo dirci possibilisti di un futuro di condivisione delle cosiddette responsabilità con il nuovo regolamento RAMM, la dura risposta repressiva e restrittiva dei regolamenti Procedure Screening e Crisi, tenderà gravemente a normalizzare dell’uso arbitrario della detenzione e l’utilizzo sistematico di procedure “sommarie” per consentire i respingimenti verso i cosiddetti “Paesi terzi sicuri”, riferiscono le organizzazioni.
In particolare, dichiara Giovanna Cavallo del Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, a nome della rete che si è costituita: «abbiamo elaborato varie simulazioni che dimostrano come il Patto Europeo migrazioni e asilo rappresenti una strategia profondamente sbagliata perché fondata su azioni di chiusura e aumento dei muri fisici ed elettronici e nuovi respingimenti». E ancora: «soprattutto, i regolamenti screening e procedure prevedono la creazione di centri di detenzione alle frontiere in cui sarà possibile trattenere tutte le persone che hanno scarso successo di poter ricevere asilo, anche le famiglie con minori». Così, – prosegue Cavallo: «prendendo in considerazione diversi scenari, cifre alla mano, nei casi di crisi, di pressione attiva, infine, normale, abbiamo scoperto che oltre alla violazione dei diritti umani che il Patto comporta, c’è un problema di fattibilità di questo piano, e che proprio l’Italia ne pagherebbe il prezzo più alto».
Per questo, nove organizzazioni della società civile chiedono in queste ore ai parlamentari italiani, di ogni estrazione politica, di non votare il Patto europeo migrazioni e asilo, perché «provocherebbe un pessimo impatto sulla società tutta, e si tratta di un compromesso al ribasso che non fa né gli interessi delle persone rifugiate, né quelli dei paesi di primo ingresso come l’Italia, né quelli dell’Europa come entità democratica». Ma anche – concludono nell’appello – «perché il voto negativo dei parlamentari italiani avrebbe il profondo significato politico di restituire all’Europa e al Parlamento lo scettro di una sovranità ormai perduta».
8 febbraio 2024
Perché pensiamo che il patto europeo migrazioni e asilo non deve essere votato
Alla fine dello scorso anno il consiglio e il parlamento dell’Ue hanno trovato una intesa sul Patto europeo asilo e migrazioni. Ora l’accordo dovrà essere votato e approvato nelle prossime settimane dal parlamento. Il ministro dell’interno italiano, Matteo Piantedosi, ha salutato l’intesa in maniera positiva, dichiarando che con il Patto l’Italia e l’Europa potranno contare su nuove regole per gestire in maniera solidale le migrazioni e superare il regolamento di Dublino. Ma è davvero così?
Nove organizzazioni della società civile stanno portando avanti da tempo su vari territori una Road Map per il diritto d’asilo e la libertà di movimento con l’obiettivo di informare sulle conseguenze che l’approvazione di questi testi avranno sui diritti dei migranti e sulla democrazia interna all’Unione.
In quest’ottica, abbiamo elaborato varie simulazioni che dimostrano come il Patto Europeo migrazioni e asilo rappresenti una strategia profondamente sbagliata perché fondata su azioni di chiusura e aumento dei muri fisici ed elettronici e nuovi respingimenti.
Si tratta di un Patto dal Pessimo Impatto se si guardano a tutte le azioni previste dai 5 regolamenti. Perché, in generale, mettono in campo una risposta repressiva e restrittiva ad una crisi che non trova riscontro neanche nei numeri, perché gli arrivi di migranti nell’UE sono in calo rispetto al picco del 2015 di oltre un milione di persone.
I regolamenti screening e procedure prevedono la creazione di centri di detenzione alle frontiere in cui sarà possibile trattenere tutte le persone che hanno scarso successo di poter ricevere asilo, anche le famiglie con minori. Ma oltre alla violazione dei diritti umani, c’è un problema di fattibilità di questo piano. Vediamo perché l’Italia sarà uno dei paesi che pagherà il prezzo più alto. Prendiamo in considerazione tre diversi scenari.
Scenario di crisi (anno 2016). In quell’anno sono sbarcate in Italia 181.436 persone. Secondo i dati dell’Unhcr soltanto 23.373 sono di quelle nazionalità, Eritrea, Iraq, Siria, che hanno un tasso di riconoscimento della protezione superiore al 75%. Dunque, secondo quanto prevede il Patto, soltanto queste persone avrebbero avuto normale accesso alla procedura d’asilo. La restante parte dei richiedenti asilo, ovvero 158.063 persone, avrebbero dovuto affrontare la procedura di frontiera, cioè rimanere negli hotspot e nei centri per i rimpatri, con una disponibilità di posti di 2000. E dove avremmo ospitato tutte le altre persone? Da ciò sarebbero derivati problemi logistici significativi. A riprova del fallimento del sistema, si aggiunge, inoltre, il fatto che tra i richiedenti asilo con il tasso di protezione più basso (di origine nigeriana) soltanto il 14 % sono stati quelli rimpatriati.
Scenario normale (anno 2020) In quell’anno, anche a causa della pandemia sono sbarcate in Italia 34.154 persone. Secondo i dati del ministero dell’interno, tra queste, 3.134 richiedenti avrebbero avuto accesso alla normale procedura di asilo, avendo una nazionalità con un tasso di riconoscimento europeo (Afghanistam, Iran, Sudan) pari al 20%. Le altre 31.050 persone sarebbero state trattenute nelle strutture di detenzione di frontiera (hotspot e Cpr) che a quel tempo disponevano di 3000 posti. E, anche qui, i conti non tornano. Ad esempio quelli dei rimpatri dei cittadini con il tasso di protezione più bassa, i tunisini, che per quell’anno hanno un tasso di rimpatrio pari al 13%.
Scenario pressione attiva (anno 2023) Lo scorso anno 157.652 persone sono sbarcate in Italia. Tra queste, circa 63.949 richiedenti asilo avrebbero avuto accesso alla normale procedura d’asilo (Guinea, Costa d’Avorio, Mali, Sudan, Siria, Burkina Faso). 93.703 persone sarebbero state trattenute negli hotspot e nei Cpr che hanno mantenuto una capienza sostanzialmente invariata. Dove avemmo portato le altre 90000 persone? Anche perché pure per il 2023 si nota il fallimento del sistema dei rimpatri, dato che i cittadini bengalesi e quelli tunisini, che sono quelli a più probabile rischio di rimpatrio, hanno avuto per l’anno precedente un tasso di respingimento inferiore al 10%, rispettivamente il 6 e il 9 per cento.
Il meccanismo di solidarietà è opaco. In tutti e tre gli scenari, secondo le previsioni contenute nel Patto, l’Italia potrebbe attivare il meccanismo di solidarietà, chiedendo così aiuti economici agli altri stati. Ma in tutti i casi non è stato stabilito un criterio preciso per determinare la portata e il tipo delle misure di solidarietà di cui uno Stato potrebbe avvalersi.
Il sistema volontaristico ha fallito Nel 2015 l’UE avrebbe dovuto ricollocare negli altri stati membri, in due anni, 40000 richiedenti asilo presenti in Italia. Quando è scaduto il programma di solidarietà, il 27 settembre del 2017, erano stati ricollocati 9.078 persone. E, dall’altro paese di primo ingresso, la Grecia, sono state ricollocate 20.066 persone su 60.000 che vi erano presenti. È evidente che gli aiuti economici e di tipo logistico previsti dal Patto migrazioni e asilo non sarebbero bastati a controbilanciare la mancata rilocazione della maggior parte dei richiedenti asilo.
Che fare, dunque? Ora l’accordo dovrà essere votato dal Parlamento. Come abbiamo visto, è un compromesso al ribasso che non fa né gli interessi delle persone rifugiate, né quelli dei paesi di primo ingresso come l’Italia, né quelli dell’Europa come entità democratica. Per questo, da attivisti, italiani, ma, soprattutto, da cittadini europei, chiediamo ai parlamentari di non votare quel Patto. Un voto che avrebbe il profondo significato politico di restituire all’Europa e al Parlamento lo scettro di una sovranità ormai perduta. Tutto questo l’abbiamo ribadito qualche giorno fa durante il convegno del partito democratico “Prima le persone” che si è tenuto a Roma il 19 e 20 gennaio. Ora vi è l’urgenza di rilanciare questo messaggio: Il Patto europeo migrazioni e asilo non va votato così come è, nella sua attuale formulazione.
22 novembre 2023
Diciamo la nostra sul patto europeo. Road map per il diritto d’asilo e la libertà di movimento
in questo tragico vortice di sofferenza e ingiustizia che le politiche migratorie europee e italiane stanno continuando a generare, vogliamo costruire un’iniziativa che si propone di rinsaldare a livello territoriale un punto di vista comune, convinti che sia urgente, qui ed ora, provare a dare una risposta concreta al dolore, alla rabbia e al silenzio. Altrettanto sicuri che la critica e l’indignazione morale siano certamente necessari, ma che non bastino più.
Vogliamo costruire una mappa di nodi collettivi che possano approfondire la proposta del Patto Europeo al momento in discussione al Parlamento Europeo e ragionare su una visione alternativa a queste politiche nazionali ed europee e in particolare al Patto Europeo per le Migrazioni che entro il giugno del 2024 la Commissione Europea dovrà approvare. Se approvati questi testi produrranno crisi periodiche che renderanno l’Europa una cupa fortezza dove è sempre più a rischio il diritto e il livello di democrazia interna all’Ue.
Vogliamo rendere evidente la strategia profondamente sbagliata che da anni sta muovendo anche la politica europea e che si fonda sull’inasprimento delle azioni di chiusura e di aumento dei muri, fisici ed elettronici, e di nuovi e più violenti respingimenti.
Per questo abbiamo intrapreso in rete un percorso per promuovere assemblee pubbliche territoriali con le quali aprire uno spazio di lavoro a cui tutti potranno partecipare, un lavoro che coinvolga giuristi, operatori ed attivisti che, nei diversi territori, sono impegnati nel campo delle migrazioni ma soprattutto che coinvolga chi semplicemente vorrà capirci di più. Questo percorso collettivo auspichiamo possa dotarsi di strumenti in grado di “smontare la Frontiera” eretta con le nuove politiche europee, una Frontiera fisica di confine ma anche una Frontiera sociale di esclusione, attuata dalle stesse politiche che il Governo Meloni sta portando avanti in Italia precarizzando la condizione giuridica di migliaia di migranti e sistematizzando un terribile sistema di concentrazione dei richiedenti asilo, per il solo fatto di essere tali. I contenuti frutto di questi percorso saranno lo strumento della società civile per contribuire al dibattito politico delle prossime elezioni europee e per condividere strumenti di tutela per i migranti e le migranti ora.
La prima tappa si svolgerà a Pesare il 23 novembre alle 16.15 presso la sala “W. Pierangeli”. Intervengono l’avvocata Paola Graziosi, Gianfranco Schiavone. Modera l’avvocato Michele Mariella. Tra i promotori c’è l’Associazione Lutva, membro di RiVolti ai Balcani.
Se vuoi promuovere un’assemblea nella tua città o semplicemente sapere come partecipare puoi inviare una mail a Info@percambiarelordinedellecose.eu. Seguire le pagine social dei promotori della Campagna “Road Map”.
Campagna promossa da: Cambiare l’Ordine delle Cose – Forum Nazionale, CNCA, Italy Must Act, Mediterranea, Re.Co.Sol., Refugees Welcome Italia, Rete Europa Asilo, Rivolti ai Balcani, Stop Border Violence.
21 novembre 2023
Il protocollo Italia-Albania è illegittimo e va revocato. RiVolti ai Balcani aderisce all’appello lanciato dal Tavolo Asilo e Imigrazione
“L’accordo Italia-Albania, così come delineato, si pone in contrasto con la normativa nazionale, internazionale ed europea, e comporta il rischio di gravi violazioni dei diritti umani. Le persone soccorse dalle autorità italiane sono sotto la giurisdizione italiana già quando sono fatte salire sulla nave italiana e non possono essere trasferite in un altro Stato prima che la loro richiesta d’asilo e le situazioni individuali siano esaminate. L’accordo getta le basi per la violazione del principio di non respingimento e per l’attuazione di pratiche di detenzione illegittima. Per questo, ne chiediamo la revoca immediata, sollecitando il governo italiano a rispettare i propri obblighi di diritto internazionale in materia di non respingimento e di garanzia del diritto d’asilo”. Qui la presa di posizione completa.
6 novembre 2023
“Divieto di circolazione, libertà di respingimento”. Incontro online giovedì 9 novembre alle 18.30
– Caterina Bove, avvocata Associazione Studi Giuridici Immigrazione
– Emilio De Capitani;
– Silvia Maraone, IPSIA BIH;
– Jošt Žagar Infokolpa;
– Andrea Jelovcic Centar za mirovne studije;
27 ottobre 2023
Controlli ai confini con la Slovenia: divieto di circolazione, libertà di respingimento
Preoccupa la reintroduzione dei controlli ai confini interni con la Slovenia annunciata il 18 ottobre dal Governo Meloni dopo gli attacchi compiuti da Hamas in territorio israeliano. Si tratta infatti di un’iniziativa infondata e strumentale, per la distorsione della presunta “costante pressione migratoria” (appena 1.500 persone al mese in Friuli-Venezia Giulia dall’inizio dell’anno), grave, per l’equivalenza che suggerisce all’opinione pubblica tra migranti in transito e potenziali “lupi solitari”, e che rischia soprattutto di tradursi in un palese “via libera” a riammissioni e respingimenti a catena a danno dei migranti e richiedenti asilo, in violazione del diritto interno ed europeo.
Il tutto in un punto di transito, quello tra Italia e Slovenia, che ha già vissuto nel 2020 l’esperienza delle riammissioni informali attive disposte dall’allora capo di gabinetto della ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e oggi titolare di quel dicastero, Matteo Piantedosi. Pratiche che hanno comportato il respingimento a catena delle persone, esponendole a violenze e trattamenti inumani e degradanti, e per questo dichiarate illegittime dai tribunali nel corso di questi anni. E che pure sembrano rappresentare ancora in principio l’unico strumento per l’esecutivo: uno strumento, è bene ribadirlo, illegale.
Come hanno già fatto notare anche altri osservatori e organizzazioni sul campo, il ripristino dei controlli di frontiera interni e il sacrificio della libera circolazione può avvenire in base al Codice frontiere Schengen (Regolamento (UE) 2016/399) “solo come misura di extrema ratio […] in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro” (Codice, art. 25) per il tempo più breve possibile. Il rischio di “attentati o minacce terroristiche” (Codice, art. 26) può motivare il temporaneo ripristino dei controlli di frontiera, ma tale rischio deve essere concreto e specifico.
Giocando all’equivoco intorno al concetto di minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, e liquidando in poche battute il flop delle preesistenti “misure di polizia alla frontiera italo-slovena” annunciate in pompa magna solo pochi mesi fa, il governo ha però già esplicitato di voler prorogare il ripristino dei controlli per i prossimi mesi (la misura doveva durare per 10 giorni dal 21 ottobre 2023). A significare che il reale scopo della reintroduzione dei controlli ai confini interni non è contrastare la minaccia terroristica -verso la quale, come noto, è totalmente inefficace- quanto tentare di dar parvenza di (non) legittimità a prassi operative sovrapponibili a riammissioni e respingimenti. Puntando magari a vietare l’accesso al territorio per coloro che intendano chiedere asilo, scavalcando gli obblighi di informativa che stanno in capo alle autorità di frontiera, respingendo le persone senza lasciar loro in mano alcun provvedimento.
“Le modalità di controllo saranno attuate in modo da garantire la proporzionalità della misura, adattate alla minaccia e calibrate per causare il minor impatto possibile sulla circolazione transfrontaliera e sul traffico merci”, ha provato a chiarire Palazzo Chigi. Ci si augura che dietro queste parole non si prefiguri il ricorso a forme di profilazione razziale, tema sul quale il nostro Paese è già stato bacchettato dal Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni razziali.
Ecco perché è fondamentale monitorare l’attività delle autorità italiane al confine sloveno. La rete RiVolti ai Balcani, tramite le realtà che vi aderiscono, lo sta già facendo.
Ed è molto importante al riguardo informare correttamente la cittadinanza.
Ecco perché giovedì 9 novembre alle ore 18.30 sui canali social della rete è stata organizzata l’iniziativa pubblica online “Divieto di circolazione. Libertà di respingimento” per fare il punto della situazione sia per quanto riguarda la frontiera Italia-Slovenia e sia per quanto attiene alla condizione delle persone in transito lungo le rotte balcaniche, dove le violenze sono tornate ancora una volta a governare la “gestione” dei passaggi. Una gestione oscura, come insegna anche la “novità” italiana della reintroduzione dei controlli ai confini interni con la Slovenia.
Sarà possibile seguire la diretta su Facebook (https://www.facebook.com/events/344861221548153) e Youtube (https://www.youtube.com/watch?v=DSnS-GLb_a4).
12 ottobre 2023
I video degli interventi del convegno “Lampedusa, 3 ottobre 2013: 10 anni alla deriva”
Qui trovi tutte le relazioni video svolte durante l’incontro “Lampedusa, 3 ottobre 2013: 10 anni alla deriva” tenutosi lo scorso 3 ottobre al Senato, promosso dalla rete RiVolti ai Balcani in collaborazione con Altreconomia
27 settembre 2023
Incontro pubblico a 10 anni dalla strage di Lampedusa. Martedì 3 ottobre dalle 10 alle 13 presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro – Piazza Capranica 72, Roma
Il 3 ottobre saranno passati dieci anni dalla strage di Lampedusa in cui morirono, a poche miglia dal porto dell’isola, almeno 368 persone. Si disse “Mai più” eppure da allora, dopo la parentesi dell’operazione navale “Mare Nostrum”, le politiche europee e italiane hanno puntato tutto su esternalizzazione delle frontiere, confinamento delle persone e respingimenti illegali. Disarticolando il soccorso istituzionale in mare, criminalizzando quello condotto dalle organizzazioni non governative, stringendo accordi indicibili pur di raccontare all’elettorato di voler “fermare” i flussi, legittimando trafficanti quali le diverse milizie libiche o altri regimi autoritari ai quali abbiamo fornito mezzi, risorse e formazione. Rendendo la disumanità una pratica politica. Il tutto contro l’evidenza dei fatti e dei numeri e soprattutto contro norme interne e internazionali che sanciscono precisi obblighi in capo agli Stati in tema di tutela e salvaguardia della vita umana nel mare e sulla terraferma.
Due numeri raccontano la “globalizzazione dell’indifferenza” cui stiamo assistendo nel Mediterraneo, per citare papa Francesco: oltre 31mila morti o dispersi accertati dal 2014 a oggi, almeno 140mila persone intercettate e respinte dalle milizie libiche grazie anche ai fondi dell’Italia e dell’Ue tra il 2016 e metà settembre 2023.
Dieci anni alla deriva, dunque, che hanno profondamente inquinato il sentire comune e il dibattito pubblico, e non solo per quanto riguarda il Mediterraneo.
Per fare il punto della situazione e soprattutto riflettere su come agire per un cambiamento reale, Altreconomia e RiVolti ai Balcani, con il sostegno del senatore Tino Magni dell’Alleanza Verdi e Sinistra, hanno organizzato proprio martedì 3 ottobre l’incontro pubblico “Lampedusa, 3 ottobre 2013: 10 anni alla deriva”, che si terrà dalle 10 alle 13 presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro – Piazza Capranica 72, Roma.
Si parlerà di Mediterraneo ma anche di frontiere terrestri interne (Oulx, Ventimiglia, Trieste, Como) ed esterne (dalla Tunisia al Niger), dei Centri per il rimpatrio e dell’accoglienza. Interverranno operatrici e operatori del soccorso in mare e dell’accoglienza, attivisti, giornalisti, avvocati, accademici e amministratori. Di seguito l’elenco completo.
I giornalisti e gli ospiti devono accreditarsi entro e non oltre il 29 settembre 2023 compilando questo form online https://forms.gle/oSqQGn1G9SFuzorRA
I lavori del convegno saranno trasmessi in diretta streaming al link https://webtv.senato.it e sul canale YouTube del Senato https://www.youtube.com/user/SenatoItaliano
Per informazioni ufficiostampa@altreconomia.it o redazione@altreconomia.it
6 luglio 2023
Rotta balcanica: il ministero dell’Interno condannato a risarcire un cittadino pakistano respinto a catena fino in Bosnia nell’ottobre 2020. Perché l’ordinanza del Tribunale di Roma è decisiva e attualissima
Il Tribunale di Roma ha condannato il ministero dell’Interno italiano a risarcire 18.200 euro per il danno inflitto a un cittadino pakistano richiedente asilo trattenuto e respinto nell’ottobre 2020 dall’Italia verso la Slovenia e poi a catena verso Croazia e Bosnia ed Erzegovina.
Decisivo il lavoro di rete tra attivisti, Ong e avvocati. Inclusa la rete RiVolti ai Balcani. “Questa ordinanza dimostra ancora una volta la grave illegalità delle ‘prassi’ poste in campo dal governo italiano e dai governi europei alle frontiere -afferma la rete RiVolti ai Balcani-. Il Governo Meloni ha addirittura annunciato a fine 2022 di voler riattivare quelle riammissioni, sospese nel 2021 dopo un precedente pronunciamento cautelare del Tribunale di Roma: questa decisione smonta quelle intenzioni e fa emergere un quadro oscuro sull’operato italiano. Perché non si può prescindere dallo Stato di diritto”.
È stata infatti accertata la radicale violazione delle norme internazionali, europee e interne che regolano l’accesso alla procedura di asilo. Riammissioni fuori dalla legge poiché eseguite senza la consegna agli interessati di alcun provvedimento e senza alcun esame delle situazioni individuali. Che hanno prodotto una chiara lesione del diritto di difesa e del diritto alla presentazione di un ricorso effettivo.
La recente e importantissima ordinanza del 9 maggio 2023 del Tribunale di Roma –che si può trovare integralmente sul sito dell’Asgi– riafferma così ancora una volta l’illegittimità della procedura di riammissione attuata al confine orientale italiano sulla base di un accordo siglato tra Italia e Slovenia nel 1996, mai ratificato dal Parlamento italiano.
Procedura che il governo italiano, dopo averla sospesa a seguito della decisione del gennaio 2021, ha deciso appunto di ripristinare a partire da novembre del 2022 seppur non, formalmente, nei confronti di coloro che chiedono protezione internazionale. L’ordinanza ha ritenuto senza dubbio dimostrata la rigorosa prova del danno: ovvero condizioni degradanti in cui il ricorrente si è trovato respinto in Bosnia rischiando per la propria incolumità.
La rete RiVolti ai Balcani sottolinea la straordinaria importanza e attualità della decisione ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Decisione che è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali proprio la rete RiVolti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, la Ong “Lungo la rotta balcanica”, l’associazione PIC (in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’Asgi, ICS Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito.
3 luglio 2023
RiVolti ai Balcani aderisce all’iniziativa “Art. 4: Stop alla tortura e ai trattamenti degradanti alle frontiere d’Europa”
L’Iniziativa dei Cittadini Europei, denominata “Art. 4 Stop tortura e trattamenti disumani alle frontiere d’Europa”, è giunta alla fase di lancio. Dal 10 luglio i promotori e tutte le persone della società civile europea che in questi mesi si sono unite intorno all’associazione Stop Border Violence, inizieranno la raccolta delle firme per sostenere l’iniziativa davanti alla Commissione Europea. Ci sarà un anno di tempo per raccogliere un milione di firme in tutti gli Stati membri UE, con l’obbligo di raggiungere una quota minima in almeno sette paesi.
L’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) è uno strumento di democrazia partecipativa che permette di indirizzare il parlamento europeo verso un atto legislativo. Tuttavia solo il 2,4% della popolazione europea conosce questo strumento. A questo si sommano le difficoltà logistiche che una semplice associazione di cittadini, priva di finanziamenti pubblici e di appoggi istituzionali, deve affrontare per organizzare una raccolta firme a livello continentale. Ciononostante, in questi mesi preparatori abbiamo registrato l’interesse e la partecipazione di numerosi individui, associazioni, e realtà territoriali di vario genere che in tutta Europa lavorano da anni per migliorare le condizioni di chi scappa dal proprio paese in cerca di dignità, trovandosi comunque privato dei diritti umani fondamentali. Contro la grancassa mediatica e trasversale dei populismi che alimentano narrazioni razziste e xenofobe c’è una popolazione silente che lavora quotidianamente affinché vengano rispettati i più elementari principi umanitari che sono alla base delle principali carte costituzionali dei paesi democratici. Ed è proprio la voce di questa popolazione silente che intendiamo far arrivare al parlamento europeo con la nostra iniziativa.
Con questa ICE si chiede al parlamento europeo di adottare strumenti normativi adeguati affinché sia applicato in via effettiva quanto sancito nell’art. 4 della Carta dei Diritti fondamentali della UE, che recita testualmente “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a trattamenti disumani e degradanti”. Chiediamo
dunque che sia bandito l’uso di ogni forma di violenza nella gestione dei flussi migratori e nel controllo delle frontiere UE, nonché all’interno dei paesi terzi (ad esempio Libia e Turchia) con i quali le istituzioni europee o gli stati membri hanno stretto accordi, prevedendo sanzioni in caso di inottemperanza agli obblighi stabiliti.
Riteniamo che questa ICE rappresenti una preziosa opportunità per riportare la politica migratoria dell’Unione Europea in un quadro di legalità. Chiediamo ai cittadini, singoli o riuniti sotto qualsivoglia forma associativa di aderire e contribuire al successo di questa iniziativa, firmando, ma anche e soprattutto, diffondendone i contenuti nei loro territori nelle forme che più riterranno congeniali, mettendosi in contatto con i gruppi locali che si sono già costituiti. Le firme saranno raccolte principalmente in modalità digitale, attraverso il link bit.ly/SBV. Per ulteriori informazioni, adesione e partecipazione, nonché per approfondimenti sul testo proposto alla commissione UE, vi invitiamo a visitare il sito dell’iniziativa www.stopborderviolence.org (in aggiornamento) o a seguirci sui canali social.
Per informazioni: press.sbv@gmail.com
1 giugno 2023
Frontiera Italia-Slovenia: vecchi annunci, pessime novità
Venerdì 9 giugno alle 18.30 si svolgerà in diretta online sulla pagina di RiVolti ai Balcani l’incontro “Frontiera Italia-Slovenia: vecchi annunci, pessime novità”. Una momento fondamentale per riflettere su quanto sta accadendo in Friuli-Venezia Giulia: dal promesso “hotspot” all’applicazione della “procedura accelerata” al confine orientale. Capiremo grazie agli ospiti perché si tratta di misure illegittime e perché devono preoccuparci.
Intervengono:
Caterina Bove, avvocata, socia Asgi
Gianfranco Schiavone, Ics Trieste, RiVolti ai Balcani
Serena Chiodo, Amnesty International
Filippo Miraglia, Tavolo nazionale Asilo
Introduce e modera:
Fabiana Martini, giornalista
- Qui i link per la diretta:
Facebook RiVolti: https://www.facebook.com/events/279529267859669 - YouTube Ae (per chi non ha FB): https://www.youtube.com/watch?
v=UwK9G3uQvTw
1 aprile 2023
I nuovi respingimenti della Croazia in Bosnia ed Erzegovina. Con il “marchio” europeo
Da fine marzo di quest’anno la polizia croata ha iniziato una nuova e allarmante pratica di rintraccio, detenzione ed espulsione collettiva di persone in movimento verso la Bosnia ed Erzegovina, trasportandole in autobus ai valichi di frontiera, dove vengono poi consegnate alle autorità bosniache. Una pratica inquietante denunciata dal Border violence monitoring network (Bvmn). La rete RiVolti ai Balcani rilancia la presa di posizione del Bvmn, ribadendo anche le preoccupazioni per l’annunciata riattivazione delle riammissioni al confine italo-sloveno da parte del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a fine 2022 e di cui RiVolti ai Balcani ha già richiesto la sospensione data la loro provata illegittimità. Queste riammissioni, in passato, si sono tradotte infatti in respingimenti a catena dalla Slovenia verso Croazia e poi, appunto, in Bosnia ed Erzegovina.
Secondo le testimonianze raccolte dal Bvmn dalle vittime delle espulsioni (poi confermate il 30 marzo dalle autorità del Cantone bosniaco di Una-Sana), la polizia croata intercetta le persone in movimento su tutto il territorio nazionale e, dopo averle fermate, le scorta in stazioni di polizia utilizzando veicoli in borghese. All’inizio del 2023 il ministro dell’Interno croato ha adottato misure riorganizzative riassegnando 742 agenti di polizia, precedentemente schierati ai valichi di frontiera con Slovenia e Ungheria, a squadre mobili incaricate proprio del rintraccio dei migranti nei territori a ridosso del confine Schengen della Croazia.
“Un furgone senza simboli ci ha fermato vicino alla strada. Le persone all’interno non avevano uniformi della polizia, ma abbiamo visto che avevano armi e da quello abbiamo capito che erano poliziotti. Ci hanno fatti salire sul furgone e portato alla stazione di polizia. Non sapevamo che cosa ci sarebbe successo ed eravamo tutti molto spaventati, continuavano a urlarci contro nella loro lingua e si rifiutavano di parlare inglese”, hanno descritto diverse persone intervistate dal Bvmn.
Le vittime descrivono di essere state detenute per ore in stanze sotterranee simili a prigioni senza accesso a cibo e acqua, dopodiché le autorità hanno emesso una decisione di “riammissione” in Bosnia ed Erzegovina. Alcune persone con cui il Bvmn ha parlato si sono lamentate di essere state costrette a firmare documenti in una lingua che non capivano, un motivo di illegittimità rispetto all’articolo 196 della Legge sugli stranieri, a cui si riferiscono le decisioni di espulsione. Inoltre, le vittime affermano di non aver avuto la possibilità di presentare ricorso contro la procedura, prevista dal Regolamento sull’assistenza legale gratuita nel processo di espulsione e riammissione degli stranieri, nonché dal diritto internazionale.
“Ci hanno tenuto in una specie di stanza in un seminterrato senza alcuna spiegazione. Non sapevamo che cosa avremmo firmato o che cosa ci sarebbe successo. Abbiamo chiesto aiuto per i bambini, almeno pannolini e latte per i più piccoli, ma non abbiamo avuto neanche quello. Un giovane chiedeva che gli fossero restituiti gli occhiali, ma hanno detto solo ‘no’. Le donne e i bambini erano molto spaventati, non sapevo che cosa dire per calmarli. Dopo che abbiamo dichiarato diverse volte che i nostri figli avevano fame, abbiamo ottenuto pane e acqua. Abbiamo dormito sul pavimento per due giorni, e poi ci hanno trasferito in un’altra struttura, dove molte persone sono state tenute nella stessa stanza con noi”, ha riferito uno dei membri di una famiglia detenuta.
Dopo aver firmato i documenti, gli agenti di polizia hanno trasferito questi gruppi, compresi minori, donne e bambini, in altre strutture di detenzione. Le descrizioni della durata del viaggio e l’aspetto dei locali in cui sono stati confinati indicano la possibilità che siano stati portati ai centri formalmente di accoglienza per stranieri di Ježevo e al centro “di transito” Tovarnik, strutture sostanzialmente detentive. Entrambe sono state peraltro oggetto di denunce da parte delle organizzazioni della società civile per anni a causa di sospette violazioni dei diritti umani, tra cui l’impossibilità di mettersi in contatto con gli avvocati.
“La polizia ci ha chiesto di pagare l’alloggio, il cibo e il trasporto fino al confine, come se fossimo in un albergo e non in una prigione. Non abbiamo chiesto di essere portati lì. Ci sentiamo come se fossimo stati derubati”, lamenta uno degli uomini espulsi in Bosnia ed Erzegovina.
Dopo diversi giorni, e in alcuni casi anche settimane, trascorse in questi centri, la polizia croata ha iniziato a portare gruppi di persone al valico di frontiera, dove sono stati successivamente consegnati alle autorità bosniache attraverso il processo formale di riammissione. La scorsa settimana, il valico di frontiera di Slavonski Brod è diventato un punto di riferimento per le riammissioni collettive.
Queste pratiche sono illegittime, come dimostrato dai precedenti giudiziari stabiliti dai tribunali nazionali in Italia, Slovenia e Austria, che hanno sancito la illegalità di questi tipi di riammissioni bilaterali, che costituiscono una violazione del principio internazionale di non respingimento. “L’esperienza italiana ci permette di affermare che l’esistenza di accordi bilaterali di riammissione con i Paesi confinanti è uno strumento che offre la possibilità di un uso distorto delle procedure di trasferimento proprio a causa della sistematica errata applicazione delle garanzie previste per la tutela del diritto di asilo e il diritto a una valutazione individuale delle condizioni di ingresso”, ha spiegato Anna Brambilla, avvocata dell’Asgi che ha vinto la causa contro le riammissioni presso il Tribunale di Roma nel gennaio 2021. Le stesse riammissioni che, come detto, sono state riattivate dal governo italiano. Il caso si basava sulla testimonianza di un uomo respinto a catena dall’Italia, attraverso la Slovenia e la Croazia, fino alla Bosnia, documentata dal Bvmn. Si tratta di casi in cui le persone sono state respinte tra Stati membri dell’Ue; la riammissione bilaterale di persone che si trasferiscono in Paesi al di fuori del l’Ue è ancora più preoccupante e costituisce un rischio ancora maggiore di violazione del principio di non respingimento.
A seguito delle riammissioni dalla Croazia alla Bosnia ed Erzegovina, gli agenti del Servizio per gli affari esteri (Sfa) della Bosnia e dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) hanno trasferito poi le persone nel cantone di Una-Sana, vicino al confine croato: gli uomini sono portati al centro di transito-detenzione di Lipa, e le famiglie al centro di accoglienza Borići a Bihać.
La rete RiVolti ai Balcani esprime grande preoccupazione per questa nuova prassi e torna a chiedere alla luce di queste nuove procedure la sospensione delle riammissioni al confine italo-sloveno che rischiano di tradursi in respingimenti a catena verso la Bosnia ed Erzegovina. La rete sottoscrive la richiesta del Border violence monitoring network (Bvmn) rivolta al ministero dell’Interno croato di chiarire immediatamente la questione e ad assicurare il rispetto dei diritti garantiti dalle norme interne e internazionali, compreso il diritto alla protezione internazionale, accesso alle procedure di ricorso, informazioni sui diritti previsti dalla legge, traduzione durante tutto il procedimento e assistenza legale gratuita a tutte le persone che si spostano nel territorio della Repubblica di Croazia.
23 marzo 2023
Go, friend, go al 32° Festival del cinema africano, asia e america latina
20 marzo 2023
15 marzo 2023
Respingi l’indifferenza. Sostieni RiVolti ai Balcani
Lanciamo oggi, mercoledì 15 marzo, la nuova campagna di raccolta fondi di RiVolti ai Balcani per finanziare le attività di monitoraggio e denuncia di che cosa accade ai confini, e di protezione e supporto alle persone in transito. Volti e storie che spesso scompaiono dietro freddi numeri e statistiche. Specie in un momento buio come quello di oggi pensiamo sia necessario continuare nell’azione e respingere l’indifferenza.
Partecipare alla campagna è semplicissimo: puoi donare qualsiasi importo, anche impostando una periodicità, tramite il nostro sito (con carta o bonifico) andando su https://www.
Fin dalla nostra nascita, nel 2019, abbiamo creduto nell’importanza di trasformare la conoscenza in denuncia, valorizzando al meglio competenze ed esperienze delle realtà e dei membri della rete. Abbiamo provato a farlo attraverso la pubblicazione di numerosi dossier su quanto accade lungo le rotte balcaniche; appuntamenti di formazione e convegni, online e in presenza; la collaborazione nella realizzazione dei film “Trieste è bella di notte” di Matteo Calore, Stefano Collizzolli, Andrea Segre (produzione ZaLab) sulle riammissioni al confine italo-sloveno e “Go, friend, go” in collaborazione con il Border violence monitoring network (Bvmn). E abbiamo finanziato undici progetti dal basso per supportare le persone in transito in Bosnia ed Erzegovina: dalle montature per occhiali fornite gratuitamente a Sarajevo, passando per l’aiuto ai volontari attivi a Tuzla fino agli eventi di sensibilizzazione sul tema delle migrazioni organizzati a Velika Kladuša.
Tutte queste attività sono state possibile grazie al tuo supporto. Vogliamo andare avanti e per farlo abbiamo bisogno di nuovo slancio. Qualsiasi contributo è prezioso: diffondi la voce anche tra i tuoi contatti.
9 marzo 2023
Macedonia del Nord e Kosovo: vie di transito o di fuga?
Venerdì 17 marzo ore 18 diretta online
1 marzo 2023
Le proiezioni di marzo 2023 di Trieste è bella di notte
31 gennaio 2023
“Trieste è bella di notte” sostiene RiVolti ai Balcani
Trieste è bella di Notte sostiene RiVolti ai Balcani. A seguito della collaborazione nella realizzazione di Trieste è bella di Notte, Zalab ha deciso di devolvere il 30 per cento dell’incasso dalla sottoscrizione di un abbonamento on-line ai loro video alla rete. Un gesto concreto per aiutarci nella nostra attività di denuncia, informazione e sostegno alle persone in transito.
Per sottoscrivere un abbonamento: https://www.zalabview.org/register/
Le date del tour del film: https://www.zalab.org/trieste-e-bella-di-notte-il-tour…/
23 gennaio 2023
Le riammissioni al confine italo-sloveno volute dal ministro Piantedosi sono illegali
In occasione della seconda visita in poche settimane del ministro Matteo Piantedosi a Trieste, la rete RiVolti ai Balcani esprime forte preoccupazione per l’annunciata riattivazione delle riammissioni al confine italo-sloveno. Il ministro ha dichiarato a metà gennaio 2023, in occasione della prima visita dell’anno nel capoluogo, che “non mi risulta che siano mai state dichiarate illegali […]. Ci sono due ricorsi pendenti e una sentenza di primo grado che è stata completamente ribaltata. È uno strumento non solo pienamente legittimo ma che riteniamo doveroso riattivare e rafforzare”.
Riteniamo queste affermazione molto grave. Come ha spiegato l’avvocata Caterina Bove in occasione di una conferenza stampa organizzata dalla nostra rete sul tema, la sentenza di appello ha contestato la “legittimazione attiva del ricorrente” ma “in nessun modo, neanche tra le righe, ha inteso o sottinteso in svilire la ricostruzione giuridica e i profili di illegittimità enucleati dalla prima decisione e non lo ha fatto perché sono profili di illegittimità chiari e incontestabili”.
Queste operazioni fondano la propria base giuridica su un accordo, siglato con il governo sloveno nel 1996, che non è mai stato ratificato dal Parlamento, come previsto dall’articolo 80 della Costituzione e non può dunque derogare alle leggi vigenti interne. Il Tribunale ricostruiva come le riammissioni violano così il diritto interno ed europeo sull’accesso alle procedure d’asilo. Ma non solo. Tali procedure violano anche tutte le garanzie e le procedure previste dal Regolamento Dublino “sull’attribuzione a uno Stato membro della responsabilità sull’esame di una determinata domanda di asilo e quindi sul trasferimento di una determinata persona verso quello Stato”, spiega sempre Bove. Infine, un terzo profilo di illegittimità riguarda la mancata consegna agli interessati di alcun provvedimento scritto e senza alcuna informazione su ciò che stava accadendo loro. “Le persone di fatto attendevano inermi in una condizione di detenzione de facto, in caserma, per poi venire coattivamente fatte salire su un furgone e consegnate appunto alle autorità slovene”, sottolinea l’avvocata.
È ormai nota la tragicità dei respingimenti collettivi e a catena che hanno coinvolto centinaia di persone che nel giro di qualche ora (dall’Italia in Slovenia, e poi in Croazia), al massimo un giorno, si sono ritrovate nuovamente in Bosnia ed Erzegovina, al di fuori del territorio europeo. Anche sotto questo aspetto, secondo il Tribunale di Roma, le riammissioni violano il principio di non respingimento, l’art 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, norme che impongono agli Stati di non respingere qualcuno verso un contesto dove rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Contesti di cui abbiamo parlato ampiamente nei diversi report pubblicati dalla rete su quanto accade lungo i confini della “rotta balcanica”.
Gli annunci di Piantedosi arrivano in concomitanza con l’uscita nelle sale di “Trieste è bella di notte”, una pellicola a firma di Andrea Segre, Matteo Calore e Stefano Collizzolli. Il film, distribuito da ZaLab e realizzato anche con il supporto e la collaborazione di RiVolti ai Balcani, è stato presentato il 22 gennaio proprio al Trieste Film Festival e getta una luce sulle conseguenze delle riammissioni sulle vite di coloro che le hanno subite. Un film di denuncia e di grande attualità che andrà nelle sale cinematografiche in tutta Italia e anche all’estero. Il calendario è disponibile qui.
3 gennaio 2023
“Trieste è bella di notte”. Il film realizzato con il contributo di RiVolti ai Balcani sulle riammissioni dall’Italia alla Slovenia
Il confine tra Italia e Slovenia è sulle colline, sopra Trieste. Se lo attraversi a piedi di notte le luci della città brillano nel mare. Può sembrare l’avverarsi di un sogno. O l’inizio di un incubo.
“Trieste è bella di Notte” è il nuovo film di Matteo Calore, Stefano Collizzolli, Andrea Segre che racconta le riammissioni al confine tra Italia e Slovenia sarà presentato in anteprima mondiale il 22 gennaio al Trieste Film Festival – Alpe Adria Cinema, il principale appuntamento italiano con il cinema del centro-est Europa. Dal 23 gennaio sarà in tour con gli autori al cinema, distribuito da ZaLab. Il film è stato realizzato anche con il sostegno della rete RiVolti ai Balcani.
Il trailer: https://youtu.be/LZm2oNKoCfM
10 dicembre 2022
Respingimenti alla frontiera italo-slovena: conferenza stampa – lunedì 12 dicembre
Il 6 dicembre il Governo Meloni, per bocca del sottosegretario all’Interno, Emanuele Prisco, ha annunciato la riattivazione dei “meccanismi di riammissione” alla frontiera tra Italia e Slovenia al dichiarato scopo di contrastare i flussi di persone in arrivo dalla cosiddetta “rotta balcanica”.
A fine novembre, su indicazione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, sarebbe stata infatti firmata una nuova direttiva da parte del capo di Gabinetto del Viminale, Maria Teresa Sempreviva, che invita i prefetti di Trieste, Gorizia e Udine e il commissario del governo per la Provincia di Bolzano ad “adottare iniziative volte a dare ulteriore impulso all’attività di vigilanza sulla fascia di confine”.
Anche in considerazione della natura propagandistica dell’annuncio, che non migliorerà la gestione degli arrivi in Friuli-Venezia Giulia, la rete RiVolti ai Balcani ha deciso di convocare una conferenza stampa lunedì 12 dicembre alle ore 11 in modalità da remoto (qui l’evento Facebook) per ribadire la grave illegittimità delle riammissioni che si vorrebbero ristabilire -già fatte cessare nel gennaio 2021 grazie a un ricorso al Tribunale di Roma-, sottolineare l’effetto che tali respingimenti hanno avuto e avrebbero ancora “a catena” a danno anche persone richiedenti asilo, e chiarire come quest’ultima annunciata iniziativa si inserisce in un quadro di illegalità ormai diffuse fatto di respingimenti e violazioni del diritto da parte di numerosi Paesi membri dell’Unione europea.
Partecipano: Anna Brambilla e Caterina Bove, avvocate e socie dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Gianfranco Schiavone, presidente dell’ICS di Trieste.
Modera: Duccio Facchini, direttore di Altreconomia.
La diretta della conferenza stampa verrà trasmessa sulla pagina Facebook di RiVolti ai Balcani.
29 novembre 2022
“Déjà vu rotta balcanica: cosa accade a rifugiati e migranti” – martedì 29 movembre ore 18
Le rotte balcaniche sono tornate a essere la principale via per fare ingresso in Europa. Secondo l’agenzia Frontex gli attraversamenti “irregolari” nella regione tra gennaio e ottobre 2022 sono aumentati del 170% rispetto all’anno scorso e la risposta di governi locali e istituzioni europee non è cambiata: la priorità non è la protezione delle persone in transito e il riconoscimento dei loro diritti ma il controllo dei confini. Così i respingimenti e le violenze sono nuovamente in aumento. Con l’inverno alle porte, e le immagini delle centinaia di persone all’addiaccio in seguito all’incendio del campo di Lipa nel dicembre 2020 ancora impresse nella memoria, la rete RiVolti ai Balcani fa il punto su che cosa sta succedendo nell’area. Dal motivo per cui sono aumentati gli arrivi, anche grazie a una “politica elastica” sui visti da parte di Paesi come la Serbia, al ritorno dei respingimenti sistematici e violenti ai confini su diverse rotte che si sono aperte negli ultimi mesi, passando per le difficili condizioni che vive chi si trova oggi sulla rotta e il ruolo di Frontex, l’agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Per raccontare un epilogo già visto e per provare a cambiarlo.
Intervengono:
Petra Leschanz, avvocata
Luca Rondi, giornalista di Altreconomia
Silvia Maraone, operatrice Ipsia Acli
con la partecipazione del regista Andrea Segre
[altri ospiti in attesa di conferma]
Modera: Gianfranco Schiavone, Consorzio italiano di solidarietà e Asgi
Si può seguire in diretta e recuperare la registrazione sulla pagina Facebook di RiVolti ai Balcani e sulla pagina YouTube di Altreconomia.
9 novembre 2022
Proiezione in anteprima del film “Go friend go”, venerdì 11 novembre allo Spazio Alfieri a Firenze
Il film “Go friend go” sarà proiettato in anteprima al 63° Festival dei Popoli, venerdì 11 novembre allo Spazio Alfieri (Via dell’Ulivo 8, Firenze) nell’ambito del Concorso nazionale italiano. “Go, friend, go” è un film di Gabriele Licchelli, Francesco Lorusso, Andrea Settembrini, realizzato anche con il contributo di RiVolti ai Balcani.
“Go friend go” è stato realizzato on il sostegno di Piemonte Doc Film Fund – Film Commission Torino Piemonte e Regione Piemonte, European Cultural Foundation, LUSH, e prodotto da Epica Film – Broga Doite Film – Brush&Bow – Border Violence Monitoring Network.
Qui è possibile vedere il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=n4VLfbajW_I
7 novembre 2022
Sbarco contro i diritti: Mediterraneo, soccorsi e decreti (evento in diretta online)
Che cosa sta succedendo al porto di Catania e nel Mediterraneo e perché i decreti del Governo Meloni che dispongono una “distinzione” dei naufraghi sono illegittimi. Iniziativa online d’informazione e approfondimento sui canali di Altreconomia e RiVolti ai Balcani: per fare chiarezza sulla nuova frontiera della guerra ai soccorsi ed evitare che assurdità istituzionali, a furia di ripeterle, diventino “verità”.
Lunedì 7 novembre ore 18 in diretta online sui canali di RiVolti ai Balcani (https://www.facebook.com/events/432217335765011) e Altreconomia (https://www.youtube.com/watch?v=csQBtjhJ8sM)
Intervengono soccorritori, giuristi, accademici. Tra questi Francesca De Vittor, Luca Masera (ResQ), Fulvio Vassallo Paleologo, Riccardo Gatti (MSF), Luca Faenzi (Sea-Watch), Dario Belluccio (Asgi), rappresentanti di SOS Méditerranée e altri in via di conferma.
19 settembre 2022
Rotte di migrazioni forzate, di diritti e di cittadinanza
Tra il 20 settembre e il 7 dicembre, presso l’Antico Caffè San Marco (via Battisti 18, Trieste), si terrà la rassegna di incontri organizzata dal Consorzio italiano di Solidarietà, RiVolti ai Balcani, Centro Balducci e Articolo 21. Di seguito tutti gli eventi:
Martedì 20 settembre – ore 18.00 Presentazione del libro “Vite sospese. Profughi, rifugiati e richiedenti asilo dal Novecento a oggi”, a cura di E. Miletto e S. Tallia. Dialoga con Stefano Tallia, Gianfranco Schiavone (co-autore del libro e presidente ICS Trieste)
Venerdì 21 ottobre – ore 18.00 Presentazione del libro “Respinti. Le “sporche frontiere” d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo”, di D. Facchini e L. Rondi. Inaugurazione della mostra fotografica (all’Antico Caè San Marco fino al 6 novembre) Finding home. Immagini dalla “Rotta Balcanica” di C. Fabbro. Dialoga con Duccio Facchini e Chiara Fabbro, Fabiana Martini (giornalista)
Giovedì 27 ottobre – ore 18.00. Presentazione del libro “Lo sfruttamento nel piatto. Quello che tutti dovremmo sapere per un consumo consapevole”, di A. Mangano. Dialoga con l’autore, Gianluca Nigro (operatore ICS Trieste)
Giovedì 10 novembre – ore 18.00 Presentazione dei libri “L’unica persona nera nella stanza”, di N. Uyangoda e “Seconde generazioni”, identità e partecipazione politica di M. Macaluso, M. Siino, G. Tumminelli. Dialoga con Nadeesha Uyangoda e Giuseppina Tumminelli, Eva Ciuk (giornalista)
Giovedì 24 novembre – ore 18.00 Presentazione del libro “Insubordinati – Inchiesta sui rider”, di R. Rijtano. Dialoga con l’autrice, Maurilio Pirone (ricercatore Università di Bologna)
Mercoledì 7 dicembre – ore 18.00 Presentazione del libro “L’avvocato argentino”, di R. Settembre Dialoga con l’autore, Pietro Spirito (giornalista) Brani del libro e di J. Gelman, H. Verbitsky, R. Walsh, M. Carlotto, recitati da Maurizio Zacchigna.
Qui la locandina: Rotte-Locandina-Generale
24 settembre 2022
Che cosa sta succedendo alle persone in transito, dalla Grecia alla Serbia, fino all’Italia. Incontro informativo e testimonianze dai territori. L’appuntamento è per sabato 24 settembre alle 17 a Bologna alla sede di Iscos Emilia-Romagna (Via Milazzo, 16) e da remoto sui canali di RiVolti ai Balcani.
Qui il link dell’evento Facebook: https://fb.me/e/3zbcSxGuk
Qui il link per la diretta su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=NMY_6xFqhRM
27 aprile 2022
Il dossier di RiVolti ai Balcani nelle mani di papa Francesco!
Mercoledì 20 aprile una delegazione di RiVolti ha partecipato all’udienza generale del pontefice a Roma. Il lavoro di denuncia e informazione della rete è arrivato così tra le mani di papa Francesco che ha ricevuto una copia di “La rotta balcanica. I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa”, il primo dossier pubblicato, mostrando interesse e attenzione per il lavoro svolto.
7 aprile 2022
“I campi di confinamento nel XXI secolo e le responsabilità dell’Unione europea”. Convegno internazionale di RiVolti ai Balcani
Sabato 7 e domenica 8 maggio 2022 si svolgerà al Centro Ernesto Balducci di Zugliano (Udine) il convegno internazionale promosso da RiVolti ai Balcani, Rete DASI FVG e dal Centro Ernesto Balducci, in collaborazione con Articolo 21. Qui il programma completo in italiano e in inglese
Si diffondono sempre più nei Paesi esterni all’Unione europea, e prevalentemente in quelli ad essa confinanti, ma anche nella stessa Ue, luoghi e strutture destinati alla “accoglienza” temporanea dei migranti forzati che a ben guardare hanno la finalità reale di contenere i migranti forzati in uno spazio degradato che ne assicuri solo la minima sopravvivenza fisica, comprimendo l’esercizio dei diritti fondamentali delle persone accolte/confinate e negando loro uno status giuridico chiaro.
L’allestimento dei campi viene presentato come una necessità dettata dall’esistenza di un contesto emergenziale che quasi mai è realmente tale da giustificare simili scelte. I campi diventano così strumenti di contenimento in cui spesso viene limitata ogni forma di contatto possibile delle persone accolte con l’esterno, ricorrendo a forme di detenzione di fatto. Il rispetto dei diritti fondamentali è così fortemente messo in discussione.
Dalla Turchia alla Bosnia ed Erzegovina, passando per la Grecia, la Serbia e la Macedonia del Nord. Tanti esempi di “campi di confinamento” legati da un obiettivo preciso: esternalizzare il diritto d’asilo e “rendere invisibili” le persone che cercano protezione in Europa.
Il convegno promosso da RiVolti ai Balcani, Rete DASI FVG e dal Centro Ernesto Balducci, in collaborazione con Articolo 21, vuole proporre quindi una nuova chiave di lettura delle pericolose politiche messe in atto dall’Unione europea verso le migrazioni, specie quelle forzate. In tale ottica i lavori del convegno si concluderanno con l’adozione di un documento finale di raccomandazioni che, tradotto in diverse lingue, verrà diffuso a livello europeo.
Il convegno (lingue: italiano e inglese) si svolgerà sabato 7 e domenica 8 maggio 2022 in presenza al Centro Ernesto Balducci di Zugliano (Udine) e in diretta online sulla pagina Facebook di RiVolti ai Balcani.
Qui il link per l’iscrizione (in presenza o da remoto): https://forms.gle/enKHTrTXQqwerPGQ8
Qui il link all’evento Facebook: https://fb.me/e/1EzvZcI7r
9 marzo 2022
Lunedì 14 marzo ore 18.30 in diretta sui profili social di RiVolti ai Balcani e Altreconomia si terrà l’evento “Ucraina: pace, protezione, accoglienza. Quale rifugio per le persone in fuga?”. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dei militari russi, milioni di persone stanno fuggendo dal Paese per cercare protezione in Europa. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) stima in 2 milioni i rifugiati che hanno già varcato il confine ucraino in fuga dal conflitto. Un numero destinato a crescere. RiVolti ai Balcani organizza un evento di approfondimento per analizzare gli strumenti adottati per garantire protezione e accoglienza ai rifugiati e promuovere un messaggio di pace. Di fronte al flusso più alto di rifugiati verso i Paesi europei dalla fine della Seconda guerra mondiale, le istituzioni europee hanno adottato strumenti “straordinari”. Il 3 marzo il Consiglio europeo ha attuato la Direttiva 55 del 2001 per garantire tutela immediata e temporanea alle persone in fuga dalla guerra. Una decisione positiva ma “drammaticamente tardiva” che avrebbe potuto riguardare anche i popoli siriani e afghani e che arriva dopo anni di chiusure e respingimenti. Torna così di attualità anche il tema dell’accoglienza. Gli enti del privato sociale si trovano ad affrontare l’arrivo di migliaia di persone in un contesto di precarietà e difficoltà legate al taglio della spesa pubblica sull’accoglienza e alle modalità che in questi anni le istituzioni italiane hanno adottato in termini di sistemazione e progetti di integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati. L’emergenza legata al flusso di cittadini ucraini verso il nostro Paese può essere l’occasione per ripensare il modello di accoglienza italiano.
Ne discutono:
– Francesco Vignarca, Rete italiana pace e disarmo
– Mariacristina Molfetta, Fondazione Migrantes
– Gianfranco Schiavone, Ics, Consorzio italiano di solidarietà e Asgi
– Michele Rossi, CIAC Onlus
Modera: Luca Rondi, giornalista di Altreconomia
Qui il link all’evento: https://fb.me/e/1tBPGm0U7
Sarà possibile assistere alla diretta anche sul canale Youtube di Altreconomia: https://www.youtube.com/watch?v=gDxMWGs88bE
26 febbraio 2022
Un appello per la pace e l’accoglienza di chi è in fuga dal conflitto.
L’Unione europea deve predisporre al più presto un piano di accoglienza dei rifugiati dall’Ucraina anche attraverso l’attivazione della Direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea che consente un accesso immediato alle misure di protezione e rende possibile l’attuazione di un piano di redistribuzione delle persone in fuga dal conflitto tra tutti i Paesi dell’Ue.
È l’appello della rete RiVolti ai Balcani alla luce dell’inaccettabile aggressione militare della Russia a danno dell’Ucraina. Un atto che richiede una riflessione sulle diverse responsabilità per l’attuale situazione e che, partendo dalla denuncia di scelte politiche irresponsabili, solleciti una risposta chiara da chi resta ancora silente, come Europa e Nazioni Unite. Gli interessi economici, finanziari ed energetici non devono condizionare una risposta unitaria. Questa guerra non serve ad altro se non a destabilizzare l’intera regione, a rafforzare Putin e i nazionalismi e a scatenare una spirale di violenza. Serve a tutti tranne che alle popolazioni.
Facciamo dunque nostro l’appello della Rete italiana pace e disarmo, condannando la guerra scatenata dalla Russia, chiedendo l’immediato stop delle ostilità e sottolineando l’urgenza di iniziative di demilitarizzazione e disarmo, soprattutto nucleare. Per decenni l’Occidente si è fatto promotore dell’”esportazione della democrazia” con interventi militari e politiche di riarmo dove anche l’Italia ha prodotto ed esportato armi. Non è un caso che l’appello di cinquanta premi Nobel e scienziati, tra cui Carlo Rubbia e Giorgio Parisi, che chiedeva agli Stati membri delle Nazioni Unite una riduzione concordata della spesa militare del 2% all’anno per cinque anni abbia incontrato l’ennesimo silenzio dei leader politici italiani. Ancora una volta a rimetterci sono e saranno le persone inermi, i civili, mentre l’Ucraina è utilizzata come una pedina dalle parti in gioco.
8 ottobre 2021
Rotta balcanica: smascherati i respingimenti croati.
La rete RiVolti ai Balcani esprime sgomento e indignazione per la video-inchiesta pubblicata il 6 ottobre dal team di giornalisti europei (ARD, Lighthouse Report, Novosti, RTL Croatia, Spiegel, SRF) che documenta, ancora una volta, la violenza perpetrata dalla polizia di frontiera croata ai danni delle persone in transito lungo la rotta balcanica, al confine con la Bosnia ed Erzegovina.
Una violenza istituzionale nota e denunciata da anni dai membri della rete che operano sul campo rispetto a cui le autorità europee non solo sono rimaste immobili ma hanno garantito supporto. Poche sono state le azioni di indagine rispetto alle violenze che quotidianamente interessano migranti e richiedenti asilo lungo i confini della rotta balcanica, miseri i provvedimenti presi a riguardo.
Occorre un’azione forte per ricostruire integralmente la catena di comando e stabilire le responsabilità politiche dell’accaduto. I video (in apertura un frame), infatti, dimostrano che gli agenti di frontiera coinvolti nelle violenze appartengono ad una unità speciale della polizia croata: non “casi isolati”, non “mele marce” bensì una precisa strategia per respingere e brutalizzare chi cerca protezione in Unione europea.
RiVolti ai Balcani vuole tenere alta l’attenzione su ciò che succede lungo la rotta. Anche l’Italia è coinvolta. I respingimenti a catena che partono dalla Slovenia riguardano anche i “riammessi” lungo il confine italo-sloveno. Le riammissioni sono sospese dal gennaio 2021 ma alcuni esponenti del Governo ne chiedono a gran voce la ripresa. Riaffermiamo con forza, ancor di più dopo la pubblicazione dei video, l’illegittimità dell’attività e i rischi che comportano per le persone che dal territorio sloveno vengono a catena riportate in Bosnia ed Erzegovina.
Per tenere viva l’attenzione sull’attuale situazione della rotta balcanica, RiVolti ai Balcani ha organizzato per mercoledì 13 ottobre alle 20.45 -in diretta sulla propria pagina Facebook- l’evento di approfondimento “Rotta balcanica, Afghanistan”. Dalla Grecia alla Bosnia ed Erzegovina, a due mesi dalla presa di Kabul, sarà l’occasione per fare il punto sulla situazione lungo la rotta balcanica.
“L’inchiesta di ARD, Lighthouse Report, Novosti, RTL Croatia, Spiegel, SRF fornisce le prove di ciò che era noto, ma negato, da almeno due anni, ovvero che i respingimenti violenti attuati nel territorio croato non sono fatti episodici attuati da corpi di polizia fuori controllo ma sono frutto di operazioni pianificate che hanno trasformato una polizia europea in un corpo oscuro che conduce operazioni illegali, violente e moralmente ripugnanti -commenta Gianfranco Schiavone, presidente di Ics e membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione oltreché di RiVolti ai Balcani-. Appare quindi evidente che quelle operazioni che offendono la dignità di ogni cittadino europeo erano note alle autorità politiche che le ha ordinate così infangando la giovane e fragile democrazia croata. Le indagini, sollecitate dalla commissaria Johansson (che tuttavia avrebbe dovuto conoscere la situazione sulla base dei numerosissimi rapporti che pure da tempo erano pervenute alla Commissione) dovranno pertanto essere approfondite ed indipendenti e vi sono ragioni per dubitare che ciò possa realmente avvenire in questo momento in Croazia. Soprattutto ciò che deve avvenire con immediatezza è la cessazione delle violenze in tutta la Croazia a carico dei migranti cui va consentito, alla frontiera croato-bosniaca, il diritto di presentare la domanda di asilo, diritto sancito dalle normative della Ue finora sistematicamente violate. L’Unione europea deve al più presto attivare dei programmi di reinsediamento dalla Bosnia, con particolare attenzione ai cittadini afghani e alle persone in condizioni di particolare vulnerabilità”.
“I giornalisti che hanno condotto questa inchiesta hanno svolto un lavoro encomiabile nell’interesse di tutti i cittadini dell’Unione europea nonché di tutti coloro che cercano protezione e sicurezza dell’Unione europea -aggiunge Maddalena Avon, attivista al centro studi per la pace di Zagabria, membro del programma asilo e integrazione-. I video che sono stati pubblicati sono scioccanti così come le migliaia di testimonianze che sono state raccolte sulle le violenze e i respingimenti illegali che sono stati perpetrate dalla Croazia e altri membri dell’Unione europea negli ultimi cinque anni. Finalmente si dimostra in maniera inequivocabile il trattamento inumano e degradante che le polizie di frontiera riservano ai rifugiati e alle persone migranti che bussano alle porte d’Europa per esercitare il loro diritto di chiedere asilo. Un diritto garantito dalle leggi nazionali, europee e internazionali.
La Croazia è il primo Stato membro dell’Unione europea a istituire un sistema di monitoraggio indipendente sul trattamento dei rifugiati e delle persone migranti da parte della polizia. Recentemente il Governo di Zagabria ha firmato un accordo con la Commissione europea per istituirlo. Dall’accordo è chiaro che questo meccanismo non sarà né trasparente né indipendente e quindi estremamente inefficace. Sarà il ministero degli Interni croato stesso a controllare le eventuali violazioni perpetrate dal corpo di polizia. Inoltre, lo stesso ministero ha selezionato in modo indipendente gli attori chiamati a supervisionare le attività meccanismo di monitoraggio: non c’è stato nessun bando pubblico preventivo e nessun criterio chiaramente definito. Infine, l’intenzione del ministro dell’Interno di rendere del tutto inefficace questo controllo sul trattamento di rifugiati e migranti è dimostrata dal fatto che le visite di monitoraggio che saranno effettuate al di fuori delle stazioni di polizia e ai valichi di frontiera ufficiali dovranno essere annunciate in anticipo dal corpo di monitoraggio. Parliamo del cosiddetto green border dove avviene il 90% per cento di violazione dei diritti umani come dimostra l’inchiesta giornalistica. L’unico scopo della Commissione europea è che questo meccanismo esista esclusivamente sulla carta. Il compito del meccanismo di monitoraggio indipendente dovrebbe essere quello di ottenere le prove dei respingimenti ed è un gran peccato, sia per la Croazia che per l’Unione europea, che in cinque anni non abbiano mai mostrato la volontà di fermare davvero e sanzionare questi crimini. Neanche con l’istituzione di questo meccanismo.
Queste gravi violazioni dei diritti umani torture e crimini contro i rifugiati e le persone migranti sono una grande vergogna per l’Unione europea che si proclama fondata sui valori della tutela dei diritti umani. Le violenze a cui assistiamo da anni sono una conseguenza diretta della inadeguatezza delle politiche dell’Unione europea nei confronti di rifugiati e persone migranti nonché della mancanza di una volontà politica di prevenire questi crimini: il silenzio l’Unione europea in questi anni è diventato intollerabile. Anche oggi. La Commissione europea si è dichiarata “preoccupata”. Non basta. È il momento di agire e pretendere l’assunzione delle responsabilità sia delle autorità europee, sia degli Stati membri. Va sottolineato che i fondi dell’Unione europea finanziano direttamente le azioni della polizia croata alla frontiera esterna europea. Tutte le informazioni e le prove disponibili che abbiamo mostrano che queste azioni difficilmente possono essere considerate dei casi isolati ed è quindi necessario che le indagini su questo caso che includono un esame del coinvolgimento della responsabilità anche da parte delle strutture superiori che hanno impartito ordini precisi e poi sistematicamente insabbiato tutto”.
8 settembre 2021
Rotta balcanica: i progetti dal basso di “RiVolti ai Balcani” per sostenere i diritti delle persone in transito in Bosnia ed Erzegovina. Prendono forma le 11 proposte sostenute in primavera con le donazioni raccolte dopo l’incendio del campo di Lipa di fine 2020
Fare rete per sostenere i diritti delle persone in transito, richiedenti asilo e rifugiati, in Bosnia ed Erzegovina, lungo la rotta balcanica. Con questo obiettivo la rete RiVolti ai Balcani ha deciso, nella primavera 2021, di destinare 55mila euro -una parte delle donazioni arrivate alla rete a seguito dell’incendio del campo di Lipa del dicembre 2020- per finanziare le attività di alcune realtà associative che operano sul territorio bosniaco. Delle ventidue realtà, tra associazioni e gruppi informali di cittadini, che hanno partecipato al bando presentando il proprio progetto sono state selezionate le 11 proposte che meglio rispondevano ai criteri individuati dalla rete.
Dagli occhiali da vista forniti alle persone in transito, alle occasioni di sensibilizzazione e conoscenza reciproca della popolazione locale tramite proiezioni di docufilm ed eventi culinari passando per il supporto dell’integrazione dei richiedenti asilo presenti sul territorio: con l’inizio del mese di luglio 2021 i progetti hanno preso il via.
Quello promosso da RiVolti ai Balcani è stato un esperimento controcorrente rispetto ai modelli di finanziamento che da diversi anni vengono proposti in Bosnia ed Erzegovina con riferimento alla (non) gestione del fenomeno migratorio.
“Da tempo assistiamo a progetti pensati dall’alto e catapultati sul locale senza alcuna partecipazione di chi deve metterli in atto. -spiega Agostino Zanotti, dell’associazione per l’Ambasciata della democrazia locale (ADL) a Zavidovici, onlus che fa parte della rete-. Noi volevamo ‘dare gambe’ a idee che nascono per affrontare i bisogni concreti e di prossimità con cui le realtà associative che operano nella zona si confrontano quotidianamente. Anche per questo motivo abbiamo deciso di valorizzare le organizzazioni autoctone e non eterodirette perché ci sembrava interessante far crescere l’attivismo locale: quasi tutti i progetti hanno questa caratteristica. Pensiamo, con orgoglio, di aver messo in campo un processo partecipativo unico nel suo genere”.
Da Bihać e Velika Kladuša, nella parte nord-occidentale della Bosnia, alle più centrali Tuzla e Zenica fino alla capitale Sarajevo. I progetti intervengono su diversi territori della repubblica bosniaca.
“L’elemento geografico è stato importante perché abbiamo voluto spalmare gli interventi valorizzando le proposte che meglio rispondevano alle esigenze più specifiche di quel territorio -spiega Silvia Maraone di Ipsia Acli-. Non solo, nella valutazione dei progetti abbiamo cercato di bilanciare le attività promosse da gruppi informali, formati da singoli cittadini che in questi anni hanno portato avanti interventi di assistenza, da associazioni locali più strutturate. Siamo contenti di aver potuto finanziare anche progetti che vanno oltre la mera assistenza e quindi ampliano lo sguardo rispetto ai soliti interventi”.
RiVolti ai Balcani, costituita da oltre 36 realtà e singoli cittadini con l’intenzione di rompere il silenzio su quanto accade lungo la rotta balcanica e tutelare i diritti di chi la percorre e cerca di raggiungere l’Europa, nasce con la volontà di generare una mobilitazione che sia trasversale e il bando aiuta a “fare rete”.
“La relazione che si è creata con le Associazioni è fondamentale per non farle sentire soli nelle loro attività. -conclude Zanotti-. Volevamo mandare un messaggio chiaro: in Italia c’è qualcuno che appoggia la vostra causa”.
Alcuni progetti sono particolarmente innovativi perché forniscono beni di cui solitamente le persone in transito sono sprovviste e gli interventi “usuali” di assistenza non garantiscono. È il caso del Collective aid di Sarajevo che fornisce visite oculistiche, occhiali e lenti contatto alle persone in transito. Una necessità che nasce dalla violenza dei respingimenti in frontiera. “Ripetutamente, un numero scoraggiante di persone riferisce che i loro occhiali sono stati sequestrati con la forza o rotti dalla polizia di frontiera. -spiegano gli attivisti- Gli occhiali da vista sono un articolo essenziale per chiunque li indossi, ma sono spesso trascurati nel contesto umanitario perché non sempre sono prioritari tra gli altri servizi. Il nostro progetto vuole colmare questa lacuna”. Nel primo mese e mezzo di attività 27 persone hanno potuto sottoporsi agli esami della vista, presso un ottico locale, avere nuovi occhiali e lenti a contatto.
Poco più di un centinaio di chilometri sopra la capitale, a Tuzla, la rete ha finanziato tre progetti. Il centro giornaliero di Tuzla è invece gestito dall’associazione IFS Emmaus. È stato aperto a causa dell’urgente necessità di fornire servizi di assistenza giornaliera per le persone in movimento come docce, cibo, bevande calde, ricarica del cellulare, con lo scopo di restituire per un attimo dignità a persone stanche ed esauste. Da tempo però, il centro è diventato anche luogo di incontro e scambio grazie alle attività sportive proposte, ai laboratori di cucina e altri momenti di aggregazione. “Qui le persone possono socializzare e parlare apertamente dei loro problemi e delle loro difficoltà, dei desideri e delle speranze che spesso mancano nel loro viaggio”.
Da luglio ad agosto 2021, circa 300 persone sono transitate nel centro. Sempre a Tuzla, la rete ha finanziato l’attività di un gruppo di cittadini informali che da diversi anni aiuta le persone in transito fornisce beni di prima necessità, biglietti per raggiungere i campi a Sarajevo e proponendo piccoli momenti di svago per le persone in movimento. Infine, la commissione valutatrice ha deciso di valorizzare il progetto proposto Centar for community services Puz per l’integrazione dei richiedenti asilo attraverso la creazione di un piano individuale per la loro integrazione e prevenire l’abbandono del processo di asilo.
Come abbiamo denunciato nel dossier “Bosnia ed Erzegovina, la mancata accoglienza”, pubblicato dalla rete nel luglio 2021, il sistema di accoglienza per chi sceglie di fermarsi sul territorio bosniaco è quasi inesistente. In questi mesi di attività, il progetto ha fornito sostegno a sette richiedenti asilo favorendo l’accesso all’alloggio e ai piani individuali per l’integrazione. Quattro persone hanno finito con successo il corso di lingua bosniaca, e sono in attesa della certificazione, e altre quattro hanno avuto accesso al mercato del lavoro ottenendo un impiego temporaneo.
L’associazione Udruzenje Rahma propone un’attività di sensibilizzazione della popolazione di Velika Kladuša, cittadina del cantone Una Sana che, insieme a Bihać divenuta crocevia delle persone, migranti e richiedenti asilo, che tentano di raggiungere l’Europa in cui la criminalizzazione della solidarietà e l’ostilità nei confronti delle persone in transito è alta. Il progetto prevede sei workshop in cui cittadini locali e rifugiati cucinano insieme: donne bosniache hanno cucinato pasti tradizionali e dolci con le donne rifugiate che le hanno aiutate sia nei villaggi al confine della cittadina, sia negli squat informali. Da luglio 2021 si sono svolti quattro appuntamenti con cibo preparato per almeno 100/130 persone. Con lo stesso obiettivo l’associazione U Pokretu ha proposto un progetto che mira a sensibilizzare la comunità locale, soprattutto la popolazione più giovane, sul contesto migratorio in cui vivono. Nella prima parte del progetto, che si è svolta nei mesi estivi, l’associazione ha organizzato la proiezione di docufilm su tematiche specifiche (consapevolezza ambientale, diritti umani e migrazione) e promosso un festival multiculturale del cibo di strada dando l’opportunità alla comunità locale di scoprire i sapori dei Paesi di origine delle persone in movimento. Alle prime cinque proiezioni, tra luglio e agosto 2021, hanno partecipato 250 persone tra giovani locali, volontari internazionali e persone in movimento. Nella seconda parte del progetto, che si svolgerà da settembre fino alla fine di novembre 2021 verranno organizzati tre cicli di laboratori in due diverse scuole superiori in cui verranno approfondite le tematiche della discriminazione, i flussi migratori, i discorsi d’odio nella comunicazione dei mass media, così come le questioni di genere e di protezione dell’ambiente.
Infine, anche il Border Violence Monitoring Network ha ricevuto un finanziamento per la realizzazione di un docufilm sulla rotta balcanica che sarà concluso nel mese di dicembre 2021.
15 luglio 2021
“Bosnia ed Erzegovina, la mancata accoglienza”. È uscito il nuovo report di RiVolti ai Balcani. Dall’emergenza artificiale ai campi di confinamento finanziati dall’Unione europea. Aggiornamenti dalla rotta balcanica a sette mesi dall’incendio di Lipa.
È uscito “Bosnia-Erzegovina: la mancata accoglienza”, il nuovo dossier di denuncia e informazione curato della rete RiVolti ai Balcani. Il documento approfondisce la situazione del cantone Una Sana, al confine con la Croazia, paradigmatico della “non-gestione” strategica della questione migratoria da parte delle autorità bosniache. Fin dal maggio 2018, in particolare due cittadine del cantone, Bihać e Velika Kladuša, sono diventate il crocevia di persone, migranti e richiedenti asilo bloccati alle porte dell’Unione europea, a vivere in condizioni estreme.
Nonostante i finanziamenti europei, che ammontano a 88 milioni di euro dal 2018 al gennaio 2021, con l’aumento di 3,5 milioni di euro dopo l’incendio del campo di Lipa del 23 dicembre 2020, il numero dei posti di accoglienza in centri collettivi in tutta la Bosnia è sempre rimasto di alcune migliaia, non superando mai i circa 8mila posti e andando addirittura a diminuire nel corso del tempo. Ad inizio 2021 i posti disponibili, in strutture degradate e isolate dal contesto sociale, erano appena 4.760 contro gli 8.282 dell’anno precedente. Un numero ridotto se si pensa che nel mese di maggio 2021, secondo l’ultimo report dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), sono stati registrati dalle autorità bosniache 1.937 nuovi migranti e richiedenti asilo, portando il numero totale di arrivi a 5.920 nel 2021 per un totale di 75.333 da gennaio 2018. Questi numeri dimostrano la strategia del Cantone, portata avanti con finanziamenti europei, che vuole coniugare la concentrazione delle persone in campi fatiscenti e degradati, limitando però i posti di accoglienza e favorendo una politica dell’abbandono di chi sceglie o è costretto, per mancanza di alternative, a vivere in condizioni di informalità.
L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) e il Servizio Affari Esteri segnalano che nell’inverno 2020/21, a seguito della diminuzione del numero dei posti nei campi e con l’arrivo di nuove persone, il numero di migranti nei boschi, in aree pericolose e edifici abbandonati nel cantone Una Sana è cresciuto notevolmente superando anche le tre mila persone. Un numero elevatissimo accompagnato da un “piano della deterrenza” attuato dal governo cantonale bosniaco che si realizza attraverso la criminalizzazione di tutti coloro che vivono in contesti informali e portata avanti attraverso sgomberi, detenzioni arbitrarie, violazioni delle libertà personali, e incitamento ai discorsi d’odio. Il fine di questa strategia è la creazione di un ambiente ostile, precario e pericoloso che, da un lato, renda ancor più dura e difficile la sopravvivenza di chi ha raggiunto il territorio del cantone, scoraggiandolo nel rimanere, e dall’altro disincentivi i nuovi arrivi.
Nella tarda primavera 2021 nel campo di Lipa sono iniziati i lavori, a fronte di costi ingenti, per la costruzione di opere idriche ed elettriche per rendere il campo stesso adatto a contenere, nel periodo invernale, circa 1.500 persone tra uomini, famiglie e minori non accompagnati. L’Unione europea ripropone così lo schema già visto in Grecia e in altri Paesi prossimi alle sue frontiere esterne: confinare le persone in campi dagli standard estremamente bassi, lontani dai centri abitati, fortemente controllati nei quali le persone che vi abitano trascorrono un eterno tempo sospeso. Intanto, i cinque Paesi dei Balcani continuano ad avere un sistema d’asilo pressoché nullo ed estremamente restrittivo: nel 2020, a fronte di appena 264 domande esaminate, il tasso di diniego è stato pari al 68% a cui va ad aggiungersi l’assenza di programmi pubblici per l’inclusione sociale rivolti ai rifugiati. Il messaggio è chiaro: nessuno si deve fermare.
Il dossier è stato presentato mercoledì 14 luglio in diretta online sulla pagina Facebook di RiVolti ai Balcani. Sono intervenuti Anna Brambilla, Anna Clementi, Diego Saccora, Gianfranco Schiavone.
“La narrazione dei media nazionali e internazionali dipingono con un’aria bonaria la gestione del fenomeno migratorio da parte della Bosnia ed Erzegovina, sottolineando la difficoltà in cui versa il Paese. Questo è vero, sicuramente, però questo rapporto evidenzia la continuità nell’approccio nella “non-gestione del fenomeno, dal 2018 ad oggi, con l’appoggio dall’Unione europea. Un approccio che spaventa perché mira a bloccare le persone, senza fornire loro un’alternativa e, al contrario, rendendo impossibile la permanenza nel Paese. Quella dei migranti in Bosnia è un’emergenza creata artificialmente che ormai perdura da anni. Una strategia scellerata che vede responsabilità della Bosnia ma soprattutto delle istituzioni europee che finanziano la realizzazione di questi campi in cui vengono sistematicamente violati i diritti di migranti e richiedenti asilo di chi vi è confinato. Con un contemporaneo abbandono di coloro che vivono in luoghi informali, per scelta, o perché i posti non sono sufficienti. È una faccia della stessa medaglia. È una strategia. Le raccomandazioni contenute nel dossier sono molto e precise ma facilmente sintetizzabili in una richiesta: serve cambiare rotta cessando di finanziare politiche di questo genere. Non è possibile che con soldi dei cittadini europei vengano finanziati campi di questo tipo. In futuro ci chiederemo come è stato possibile realizzare tutto questo. Confinare duecento minori, su un altopiano, lontano dai centri abitati, senza prospettiva. Come è possibile accettare tutto questo?”
Gianfranco Schiavone, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.
“A quasi sette mesi dall’incendio del campo di Lipa che ha acceso i riflettori dei media nazionali e internazionali sulla Bosnia per una situazione che esisteva da ormai 3 anni. Oggi di quel campo non si parla più. Anzi, per l’Ue è diventato un modello da finanziare e replicare nonostante sia uno strumento di segregazione e confinamento delle persone. Sono in corsi i lavori di ampliamento e ristrutturazione per poter accogliere mille persone entro l’inverno, di cui 200 minori non accompagnati. Il campo è un dispositivo che non ha solo lo scopo di immobilizzare le persone ma anche di controllare il loro movimento e diventare un dispositivo di deterrenza nell’intraprendere il viaggio. Questo ha un impatto psicologico devastante: le persone vivono un tempo sospeso, un’attesa infinita. Il campo non ha un impatto solamente “fisico” ma anche psicologico: si pensi che, oltre ad essere campi di grandi dimensioni con standard di vita estremamente bassi sono lontani da centri abitati e recitanti. I contatti ammessi sono solo con ONG autorizzate che hanno forti limitazioni di azione ed espressione. Inoltre, accanto alla creazione di Lipa ci sia una progressiva chiusura degli altri centri collettivi per migranti sul territorio del Cantone Sana. Vengono chiusi, senza però che vengano predisposti nuovi posti in campi. Il fatto che ci siano aree informali è quindi una politica voluta. Tutti i fondi e gli aiuti vengono concentrati nei campi e chi si trova in condizione di informalità vengono criminalizzate. Tutti ci chiediamo cosa succederà, in inverno, quando le temperature scenderanno e le condizioni non sono migliorate”.
Anna Clementi, operatrice sociale, ass. Lungo la rotta balcanica
“Le persone che percorrono la rotta non intendo fermarsi in Bosnia ma una riflessione su questo aspetto va fatta. Anche laddove queste desiderassero fermarsi, il sistema bosniaco non è in grado di prendersene cura. I dati evidenziano come l’esame delle domande d’asilo richiedono tempi lunghi e con una certa rigidità nelle decisioni nonostante i richiedenti provengano da Paesi, quali l’Afghanistan o Pakistan, in cui non possono rientrare. L’Unione europea ha finanziato, dal 2018 al gennaio 2021, quasi 88 milioni di euro non solo per rafforzare il sistema asilo bosniaco ma soprattutto per rafforzare le capacità di controllo dei confini da parte della polizia di frontiera. In questo compito, le grandi agenzie internazionali, come l’Oim, rivestono ruoli importanti nel gestire fondi che arrivano sia dalle istituzioni europei, sia dai governi nazionali, per rafforzare la capacità di controllo dei flussi migratori. Ne è un esempio il ministero dell’interno danese che ha stanziato 3 milioni di euro per rafforzare le capacità di gestione non solo delle autorità bosniache ma anche Albania, Montenegro e Macedonia. Ancora, l’Oim ha ricevuto più di 900mila euro dalla Banca centrale europea sempre per il controllo delle frontiere in Bosnia. Infine, altre organizzazioni che intervengono all’interno dei campi, anche quello di Lipa, per fornire servizi ai migranti. In questo scenario abbiamo l’Ue che fornisce un aiuto economico alle autorità economico, sia organizzazioni internazionale e ONG non governative che intervengono all’interno dei campi”.
Anna Brambilla, avvocata, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
“Il cantone Una Sana è paradigmatico di quello che succede in tanti altri luoghi sulla rotta. È uno dei tanti esempi. All’inizio la popolazione locale ha mostrato vicinanza alle persone che arrivavano poi, con il passare del tempo, il supporto a queste persone è stato messo sotto una lente negativa da parte della classe politica. Criminalizzazione della solidarietà e utilizzo di un certo tipo di narrazione porta ad un incattivamento del discorso pubblico e della narrativa del fenomeno rispetto a cui, la Bosnia, risulta un Paese molto giovane rispetto a tanti altri. Pensiamo all’Italia e alla Grecia, interessati dal fenomeno da più anni. È importante capire che la responsabilità dell’Ue non sta solo nei fondi volti all’esternalizzazione della gestione delle migrazioni ma anche nei respingimenti che a catena continuano a riportare persone in Bosnia. Non vi sono solo arrivi via Serbia o via Montenegro sul proprio territorio ma anche dei ritorni illegali da parte della Croazia ma anche da Paesi europei quali l’Italia o l’Austria. Un territorio che offre soluzioni di accoglienza insufficienti che diminuiscono in quantità ma anche qualità. Chi era presente in Bosnia nel 2018, si ricorda che potevano essere affittati luoghi alle persone migranti. Oggi tutto questo è vietato, così come l’utilizzo dei trasporti pubblici, dei taxi. Lo strumento della deterrenza pian piano va a colpire la cittadinanza chiedendo un aiuto e un avvallo nel fermo delle persone. Questo non può che creare tensione, un sentimento di pericolo e odio”.
Diego Saccora, operatore sociale, ass. Lungo la rotta balcanica
Il dossier è disponibile gratuitamente sul sito di Altreconomia.
25 maggio 2021
La criminalizzazione della solidarietà è un virus. Il ciclo di incontri di RiVolti ai Balcani
La criminalizzazione della solidarietà è un virus che minaccia le democrazie europee. Italia inclusa. Per iniziare a debellarlo è necessario proteggere i diritti umani, tutelando chi li difende, da Trieste al Mediterraneo centrale. Siano essi operatori umanitari, attivisti, giuristi, ricercatori o giornalisti.
Per questo motivo la rete “Rivolti ai Balcani”, costituita da oltre 36 realtà e singoli cittadini con l’intenzione di rompere il silenzio su quanto accade lungo la rotta balcanica e tutelare i diritti di chi la percorre e cerca di raggiungere l’Europa, ha deciso di organizzare a partire dal 28 maggio un ciclo di quattro incontri online di approfondimento e informazione intitolato proprio “La criminalizzazione della solidarietà in Italia e in Europa”.
Il primo appuntamento in agenda si terrà venerdì 28 maggio alle ore 18 sulla pagina Facebook di RiVolti ai Balcani (@RiVoltiAiBalcani). Sarà l’occasione per fornire un inquadramento storico-normativo sull’emersione della criminalizzazione e lo sviluppo nei diversi Paesi europei, svolgere un’analisi di una norma europea controversa come la Direttiva 2002/90/CE e condividere proposte di cambiamento, ribadendo il valore inderogabile della solidarietà quale principio costituzionale.
I relatori sono Elisa De Pieri -ricercatrice di Amnesty International – Ufficio Europa e autrice del rapporto “Punishing compassion: solidarity on trial in fortress Europe” del marzo 2020- e Lorenzo Trucco, avvocato, presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Introduce e modera l’incontro Gianfranco Schiavone (Asgi – Rete Rivolti ai Balcani).
Il secondo appuntamento si terrà venerdì 4 giugno alle 18, sempre dalla pagina Facebook di RiVolti ai Balcani. La situazione del Mediterraneo sarà al centro dell’attenzione: dai flussi migratori all’invenzione della nozione di “pull factor” a danno delle Organizzazioni non governative, chiarendo il concetto del dovere di soccorso e la sua negazione dal 2015 a oggi.
Interverranno Matteo De Bellis -ricercatore di Amnesty International – Ufficio Regionale per l’Europa e autore del libro “Lontano dagli occhi. Storia di politiche migratorie e persone alla deriva tra Italia e Libia” (maggio 2021) – e Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato, tra i fondatori dell’Associazione Diritti e Frontiere, autore di numerose pubblicazioni in materia di migrazione e asilo.
Introduce e modera l’incontro Duccio Facchini (direttore di Altreconomia e parte della rete Rivolti ai Balcani).
Ciascun appuntamento sarà impreziosito da letture di Roberta Biagiarelli tratte dai testi di Alessandro Leogrande, Luca Rastello, Francesca Mannocchi, Elena Pulcini e dal testo teatrale di Migrantenate_le custodi dell’altro; poesie di Wisława Szymborska e Mariangela Gualtieri. Il secondo modulo con gli altri due incontri è in via definizione.
12 gennaio 2021
I migranti senza diritti nel cuore d’Europa: presentazione del Dossier della rete RiVolti ai Balcani a Venezia il 16 gennaio, dalla nave Mare Jonio, in collaborazione con Mediterranea Saving Humans
Le fiamme divampate alla vigilia di Natale sono ormai spente, ma 15 giorni dopo l’incendio centinaia di migranti vivono ancora tra le macerie del campo di Lipa a 30 km da Bihać, mentre istituzioni nazionali e locali nel paese, Unione europea e organizzazioni internazionali non sono riuscite a trovare una soluzione di sistema alla crisi umanitaria in corso in Bosnia Erzegovina.
La rete “RiVolti ai Balcani”, costituita nel 2019 da 34 associazioni e realtà impegnate a difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali, da tempo denuncia le condizioni di vita di migranti e rifugiati lungo la rotta balcanica. Sui fatti recenti di Lipa ha avviato inoltre la petizione “Bosnia, si fermi lo scacchiere della disumanità” – che ha già raggiunto 35mila firme – rivolta all’UE con cui si chiede l’immediato e urgente intervento nell’area di Bihać e una soluzione di sistema a lungo termine.
Per queste ragioni, grazie all’invito e alla collaborazione di Mediterranea Saving Humans nell’organizzazione dell’evento, sabato 16 gennaio alle ore 11.00 in diretta streaming (sulla pagina Facebook @Mediterranearescue) dalla nave Mare Jonio, ormeggiata a Venezia, si terrà la conferenza stampa di presentazione della seconda edizione del dossier di RiVolti ai Balcani “La rotta balcanica. I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa”.
La prima edizione era stata presentata a Milano lo scorso 27 giugno 2020, con dati aggiornati sulle violazioni in atto lungo le rotte migratorie della penisola balcanica – dalla Grecia alla Slovenia, attraverso il collo di bottiglia della Bosnia Erzegovina – fin dall’accordo tra Unione Europea e Turchia del marzo 2016, con il quale l’UE ha di fatto delegato ad Ankara il controllo di parte delle proprie frontiere esterne.
La conferenza stampa sarà introdotta da Alessandro Metz, armatore di Mediterranea. Seguiranno gli interventi di rappresentanti della rete RiVolti ai Balcani: Gianfranco Schiavone (ASGI – Associazione studi giuridici sull’immigrazione), Silvia Maraone (cooperante a Bihac di Ipsia, Ong delle Acli), Diego Saccora (Associazione Lungo la rotta balcanica), Paolo Pignocchi (Coordinamento Europa, Amnesty Italia), Carlotta Giordani (avvocata e attivista, SOS Diritti Venezia) e Agostino Zanotti (ADL – Associazione per l’Ambasciata della Democrazia Locale a Zavidovici Onlus).
30 dicembre 2020
Bosnia: si fermi lo scacchiere della disumanità. “RiVolti ai Balcani” chiede l’immediato e urgente intervento di istituzioni europee, internazionali e locali nell’area di Bihać, e una soluzione di sistema a lungo termine che assicuri a migranti, richiedenti asilo e rifugiati il rispetto dei diritti umani fondamentali
“Come cittadina della Bosnia Erzegovina sento il diritto di insistere e ottenere da tutte le rappresentanze politiche a tutti i livelli che assicurino immediatamente un’assistenza e un alloggio dignitosi a tutte le persone in movimento. E chiedo altrettanto alla comunità internazionale che ha ancora un protettorato in Bosnia Erzegovina che si assuma la responsabilità di questa situazione. Questo crimine contro l’umanità che si sta attuando deve finire subito. Le persone continuano a congelare per le strade e sulle montagne e la domanda è quando cominceranno a morire. Tanti cittadini aiutano singolarmente come possono, ma per fermare questa catastrofe è necessaria una soluzione di sistema che rispetti la dignità e i diritti umani di queste persone. Coloro che operano in istituzioni pubbliche locali e internazionali sono responsabili di questa catastrofe. Non voglio e non accetto che la Bosnia Erzegovina diventi di nuovo una valle di fosse comuni, sinonimo di crimini, morte e ingiustizia”.
“RiVolti ai Balcani” raccoglie e condivide l’appello che arriva da singoli cittadini e cittadine, attivisti e volontari bosniaci oltre che dalla rete regionale Transbalkanska Solidarnost, affinché si fermi la catastrofe umanitaria che si sta consumando specialmente nel Cantone di Una Sana dove 3000 mila migranti, richiedenti asilo e rifugiati, vivono all’addiaccio. Di questi 1500 nel campo temporaneo di Lipa, a 30 km da Bihać, per i quali non vi è stata la volontà né dalle autorità locali né da quelle internazionali di trovare una soluzione.
Sono mesi che diverse organizzazioni internazionali, associazioni e volontari denunciano le condizioni insostenibili in cui vivono queste persone arrivate attraverso la rotta balcanica della migrazione. In primis nella tendopoli di Lipa, non predisposto per i mesi invernali, dove l’acqua veniva portata da una cisterna e la poca elettricità era prodotta da generatori. Come altri campi di transito in Bosnia, gestito dall’ Organization for Migration (IOM) BiH, ma la cui costruzione o adattamento è in capo alle autorità del paese.
Nonostante l’appello della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa e dell’Unhcr, e del successivo – vano – tentativo del Consiglio dei ministri bosniaco a spingere le autorità cantonali a prevedere un’accoglienza in strutture adatte, IOM ne ha deciso la chiusura e il 23 dicembre – giorno previsto per lo sgombero da parte di IOM – il campo è andato quasi completamente distrutto in un incendio.
Sta nevicando e la temperatura è scesa sotto lo zero. Centinaia di persone si trovano qui bloccate, con un solo pasto al giorno distribuito dalla Croce Rossa locale, altre centinaia si trovano sparse nei boschi senza assistenza.
“RiVolti ai Balcani” si aggiunge ad altri appelli resi pubblici negli ultimi giorni. Quello del 26 dicembre, firmato da Unhcr e IOM assieme a DRC – Danish Refugee e Save the Children che operano nel paese, in cui si chiede alle autorità locali di fornire l’immediata soluzione alternativa di alloggio e viene ribadita la disponibilità delle quattro organizzazioni a sostenere gli sforzi delle autorità locali e organizzare l’assistenza necessaria. Ma anche l’appello dei volontari e attivisti di No Name Kitchen, SOS Balkanroute, Medical Volunteers International e Blindspots rivolto all’Ue e ai suoi Stati membri.
La rete “RiVolti ai Balcani” – composta da oltre 36 realtà e singoli impegnati a difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali – chiede all’Unione europea, all’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, alla delegazione dell’Ue all’Alto rappresentante in Bosnia Erzegovina, all’International Organization for Migration, al Consiglio dei Ministri della Bosnia erzegovina, alle autorità del Cantone Una Sana e del Comune di Bihać, alle autorità delle due entità del paese – la Federazione e la Republika Srpska affinché:
- sia trovata una soluzione immediata all’attuale emergenza umanitaria nell’area di Bihać e in Bosnia Erzegovina in generale;
- siano individuate soluzioni di sistema a lungo termine che dotino la Bosnia Erzegovina di un effettivo sistema di accoglienza e protezione dei rifugiati;
- sia attivato un programma di evacuazione umanitaria e di ricollocamento dei migranti in tutti i paesi dell’Unione Europea.
Firma l’appello “Bosnia: si fermi lo scacchiere della disumanità” su Change
18 dicembre 2020
RiVolti ai Balcani a difesa dei diritti dei migranti. Nella Giornata Internazionale per i diritti migranti la rete Rivolti ai Balcani ribadisce la necessità di intervenire con la massima urgenza rispetto alla preoccupante crisi in corso in Bosnia Erzegovina, alle riammissioni a catena, e alle violenze perpetrate su persone in movimento sulla rotta balcanica
La Rete RiVolti ai Balcani si unisce alle gravi preoccupazioni espresse dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, nella lettera rivolta alle autorità bosniache affinché si prendano carico della preoccupante crisi umanitaria in corso nel cantone di Una-Sana, dove famiglie, donne e bambini non hanno più accesso ai centri di accoglienza
“Risulta che, alla data di ottobre 2020, siano 6770 i richiedenti asilo e migranti accolti in campi situati nella Federazione della Bosnia Erzegovina. Si stima che il numero di coloro che dormono all’addiaccio o in palazzi abbandonati nel Cantone di Una Sana e altrove nel paese va da 2000 a 3500 persone. Sono molto preoccupata del fatto che, a distanza di un anno dalla chiusura del campo di Vučjak, sia in corso nel Cantone un’altra crisi umanitaria” afferma Mijatović.
Da aprile, inoltre, un migliaio di persone sono state concentrate a forza a Lipa, una tendopoli situata nel nulla a 30 km da Bihać. Originariamente concepita come campo temporaneo causa “emergenza Covid” questa struttura doveva chiudere il 30 settembre ed è invece rimasta aperta pur non essendo attrezzato per l’inverno. Le persone lì accampate stanno rischiando la vita.
E non è ancora chiaro se il campo chiuderà per decisione dell’IOM.
Da mesi assieme a diverse organizzazioni internazionali, associazioni e volontari denunciamo le condizioni vergognose ed insostenibili in cui vivono queste persone, che percorrono la cd rotta balcanica, oltre alle riammissioni a catena e le violenze perpetrate ai confini dei paesi attraversati.
Come evidenziato durante il convegno di Rivolti Ai Balcani del 27/28 novembre scorso, denunciamo l’aumento esponenziale delle riammissioni a catena, che dal confine italo-sloveno deportano illegalmente i rifugiati fino in Bosnia e hanno l’effetto di esporre le persone a condizioni inumane e ad un rischio di morte. Respingimenti illegali in cui avvengono anche violenze, se non torture, come denunciato da Amnesty International e altre organizzazioni da lungo tempo.
Dato che il governo della Croazia non ha risposto alle diverse richieste di avviare indagini sulle accuse di violenza da parte delle forze di polizia, Amnesty International ha deciso di percorrere le vie legali rivolgendosi all’Ombudsman Europeo, l’ufficio preposto a supervisionare sui casi di cattiva amministrazione delle istituzioni di Bruxelles.
L’Ombudsman ha aperto un’indagine rivolto alla Commissione Europea per accertare eventuali inadempienze.
23 novembre 2020
“Sulla rotta balcanica”. Convegno internazionale a Trieste il 27-28 novembre 2020. Per capire che cosa sta accadendo sulla “rotta balcanica”; per denunciare le gravissime violazioni commesse dai diversi Paesi coinvolti, tra cui l’Italia, a danno dei rifugiati; per cambiare una situazione inaccettabile per l’Europa
Milano, 23 novembre 2020 – La Rete nazionale “Rivolti ai Balcani” composta da oltre 36 organizzazioni, in collaborazione con con il Festival S/Paesati e con il patrocinio dell’Università degli Studi di Trieste organizza per venerdì 27 novembre (ore 15.30-18.30) e sabato 28 novembre 2020 (ore 10.00-13.00) il convegno internazionale “Sulla rotta balcanica”.
Studiosi, giornalisti, giuristi, parlamentari, rappresentanti di associazioni e di organizzazioni internazionali di Italia, Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord e di altri Paesi europei, si confronteranno per ragionare sullo stato dei flussi migratori e sull’esistenza, nell’area, di gravi e sistematiche violenze verso i rifugiati nonché di respingimenti a catena attuati in totale violazione degli ordinamenti giuridici degli Stati coinvolti e del diritto dell’Unione europea.
La locandina del convegno è qui.
La scelta di Trieste come sede del Convegno non è casuale sia perché la città è situata al termine geografico della rotta, sia perché dalla primavera del 2020 l’Italia diviene attore diretto della politica dei respingimenti consegnando i migranti, ai quali viene negato l’accesso alla procedura di asilo, a sistematiche ed efferate violenze fisiche e psichiche attuate in diversi punti della rotta e in Croazia in particolare, fino a completare l’allontanamento forzato dei rifugiati al di fuori dei confini dell’Unione europea; una scelta inaudita per l’ordinamento democratico italiano e della cui gravità non c’è ancora piena consapevolezza nel Paese e che deve terminare al più presto.
Pur mantenendo un focus particolare sull’inaudito nuovo scenario italiano il convegno “Sulla rotta balcanica” si prefigge, specie con la Tavola rotonda della seconda giornata, di individuare dei percorsi politici e sociali condivisi dai diversi attori al fine di porre fine alle illegittime riammissioni a catena in tutta l’area balcanica e di individuare, anche in reazione alle competenze del Parlamento europeo, gli interventi necessari per evitare lo stravolgimento delle normative Ue sul diritto d’asilo e per supportare, nei paesi dei Balcani occidentali, la crescita di un effettivo sistema di protezione e di accoglienza dei rifugiati.
Tra i relatori: Sabrina Morena (coordinatrice del Festival Spaesati di Trieste), Felipe González Morales (Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti), Lora Vidović (ombudswoman della Repubblica di Croazia), Tanja Fajon (deputata al Parlamento europeo), Massimo Moratti (vice-direttore dell’ufficio per l’Europa e responsabile per i Balcani – Amnesty International), Silvia Maraone (project manager Ong IPSIA – Istituto Pace Sviluppo Innovazione ACLI), Riccardo Magi (deputato al Parlamento italiano) e Chiara Cardoletti (rappresentante per l’Italia, la Santa Sede e San Marino UNHCR – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati)
Udruzenje: un aiuto per chi resta
Il progetto Daily integration center Intergreat, a Sarajevo, accompagna i richiedenti asilo che si fermano in Bosnia ed Erzegovina verso l’autonomia
I volontari di Tuzla
Il progetto ha permesso di garantire continuità all’attività del gruppo dei volontari di Tuzla che da cinque anni porta aiuti ai migranti ogni giorno
Il centro diurno di Emmaus a Tuzla
Il progetto dell’organizzazione bosniaca ha garantito diritti e supporto ai migranti in transito di diritti oltreché momenti di scambio culturale
Puz: accogliere davvero a Tuzla
Il progetto a Tuzla ha come obiettivo l’integrazione dei richiedenti asilo attraverso la creazione di un piano individuale per il loro inserimento nella società e per prevenire l’abbandono del processo di asilo.
Kompass 071 a Sarajevo
Il progetto ha permesso di ampliare e ristrutturare il daily center che accoglie e assiste i migranti in transito a Sarajevo
A Sarajevo occhi aperti sui diritti
Il progetto prevede la possibilità per le persone in transito di sottoporsi a visite oculistiche ed eventualmente acquistare occhiali e lenti a contatto.
Anela e i solidali di Bihać
Il progetto ha permesso di finanziare la distribuzione di beni di prima di necessità, come cibo e vestiti, nella città di Bihać da parte di un gruppo di volontari
SOS Bihać è sulla frontiera
Il progetto ha permesso di monitorare i confini con la Croazia per portare soccorso ai migranti respinti della polizia
In movimento con U Pokretu
Il progetto mira a sensibilizzare la comunità locale di Bihać, soprattutto la popolazione più giovane, sul contesto migratorio in cui vivono grazie a iniziative di incontro tra le persone in transito e la popolazione residente.
No Name Kitchen a Velika Kladuša
Il progetto ha permesso ai migranti respinti dalla Croazia di beneficiare di voucher per l’acquisto di cibo e di avere accesso a cure mediche
Rahma “scalda” Velika Kladuša
Il progetto propone attività di sensibilizzazione della popolazione di Velika Kladuša sul tema delle migrazioni attraverso eventi in cui le persone in transito incontrano i residenti.
Il documentario del BVMN
Un lavoro di inchiesta a cura del Border Violence Monitoring Network sulle condizioni delle persone in transito lungo la rotta balcanica